sabato 29 dicembre 2012

La sinistra e l'unione monetaria europea


Camera dei Deputati, 13 Dicembre 1978, intervento dell'Onorevole Giorgio Napolitano:

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Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo tutti consapevoli, credo, del significato e della difficoltà di questo dibattito. E' in gioco una decisione  importante, rispetto alla quale i pareri sono discordi, mentre vengono alla luce modi diversi di concepire lo sviluppo della Comunità europea e di intendere la presenza e il ruolo dell’Italia in seno alla Comunità.

Ma, se c’è un paese in cui la discussione attorno a questi problemi, attorno ai problemi suscitati dalla proposta di accordo monetario europeo, avrebbe potuto svolgersi in termini del tutto obiettivi, senza essere alterata e deviata da contrapposizioni ideologiche e da manovre politiche, questo paese, onorevoli colleghi, è il nostro.

In Italia, infatti, tra i partiti democratici, tra le forze fondamentali della nostra società e nello spirito pubblico non circolano pregiudizi antieuropeistici; non operano né tradizioni di isolamento, più o meno splendido, dal resto dell’Europa, né presunzioni di grandezza nazionale. Le tendenze nazionalistiche, sfruttate ed esasperate dal fascismo, e quindi travolte nel suo disastro, non sono risorte, neppure come vaghe correnti di opinione, anche grazie alla linea cui si sono ispirate tutte le forze democratiche italiane.

Non è meno importante il fatto che, pur muovendo da posizioni diverse, tutte le forze politiche e sociali che si riconoscono nei valori della Costituzione, si siano via via riconosciute anche nei valori dell’europeismo democratico, liberati dalle distorsioni e dagli strumentalismi del periodo della guerra fredda; si siano riconosciute nel difficile sforzo di costruzione di un’Europa comunitaria realmente ancorata a principi di solidarietà, di progresso sociale, di cooperazione internazionale e di pace.

Che in questo sforzo si considerino pienamente impegnati tutta la sinistra e il movimento operaio - come dimostra la loro adesione senza riserve alla scelta dell’elezione diretta del Parlamento europeo - è un fatto che differenzia in non lieve misura la situazione italiana da quella inglese o francese. E' un punto di forza per il nostro paese sul piano internazionale, un punto di forza che solo polemiche pretestuose ,ed irresponsabili possono oggi tendere ad oscurare.

Nello stesso tempo, non può non considerarsi una naturale manifestazione di vitalità democratica e di ricchezza politica e culturale la dialettica di posizioni che si esprime - nell’ambito di una comune scelta europeistica - tra diverse valutazioni dell’esperienza comunitaria e diverse concezioni dell’azione- da condurre in seno alla Comunità. La discussione attorno al progetto di sistema monetario europeo avrebbe dunque, onorevoli colleghi, potuto svolgersi in Italia in termini del tutto obiettivi. E così è stato, nel complesso, sino ad alcune settimane fa: nonostante le disparità di opinioni, si è discusso a lungo, e a più riprese, nel Parlamento e sulla stampa, tra i rappresentanti dei partiti di maggioranza ed il Governo, tra gli specialisti di ogni tendenza, all’interno del mondo economico e sindacale, entrando nel merito dei problemi, nel concreto delle proposte avanzate e delle loro implicazioni, della trattativa in corso e della linea da seguire in tale trattativa e dei risultati che via via si ottenevano.

Oggi, nella fase finale, sono affiorate e prevalse forzature di varia natura. Su di esse tornerò più avanti. Mi limito ora a rillevare che queste forzature sono venute da una parte sola, cioè da coloro che hanno premuto per l’ingresso immediato dell’Italia nel sistema monetario.

Il Presidente del Consiglio ha dato atto, nel suo discorso di ieri mattina che né prima né dopo il vertitce di Bruxelles sono state fatte verso il sistema monetario di cui stiamo discutendo eccezioni mosse da riserve europeiste o da contrarietà alla creazione di un sistema monetario come tale. Non si può, invece, negare ,che le pessioni in senso opposto le la scelta conclusiva siano state viziate da schemi e da calcoli che prescindevano da una valutazione obiettiva dei termini del problema.

Ma mi si permetta, onorevoli colleghi, signor Presidente, di ripartire dalla posizione assunta da noi comunisti di fronte al vertice di Brema, di fronte alle indicazioni scaturite nel luglio scorso da quella riunione dei capi di Governo della CEE. Guardammo allora con interesse ai propositi di rilancio del processo di integrazione e di maggiore solidarietà, per far fronte ad una crisi di portata mondiale, per accelerare lo sviluppo delle economie europe e combattere la disoccupazione e, insieme, ridurre l’inflazione. Non negamno l’esigenza di realizzare, a questo fine, anche una maggiore stabilità nei cambi, non esprimemmo alcuna pregiudiziale negativa nei confronti dell’idea di un nuovo sistema monetario europeo.

Ponemmo invece il problema della relazione tra uno sforzo inteso a conseguire una maggiore stabilità nei rapporti tra le monete e lo sforzo inteso ad avvicinare le situazioni e le politiche economiche e finanziarie dei paesi della Comunità in funzione di obiettivi chiari di crescita, di riequilibrio, di progresso sociale. Ponemmo in questo senso il problema delle condizioni in cui il nuovo sistema monetario europeo avrebbe potuto nascere come strumento valido e vitale, al quale l’Italia avrebbe potuto aderire fiin dall’iniizio.

E' un fatto, signor Presidente del Consiglio, che quindi ci riconoscemmo nelle condizioni formulate dal Governo italiano e illustrate alla Camera dal ministro del tesoro nella seduta del 10 ottobre, e valutammo via via l’andamento del negoziato in rapporto a quelle condizioni. Su di esse sembrarono concordare tutti i partiti della maggioranza; ma mentre alcuni hanno poi finito per discostarsene nei loro giudizi, è ancora ad esse che noi ciriferiamo nel valutare le conclusioni raggiunte a Bruxelles e la decisione a cui ieri è pervenuto il Presidente del Consiglio.

Consideriamo non seria - mi si consenta di dirlo - la tendenza a liquidare come problema tecnico irrilevante quello di una attenta verifica dei contenuti della risoluzione di Bruxelles del 5 dicembre per valutarne la rispondenza alle concrete esigenze poste da parte italiana. Quello delle garanzie da conseguire affinché il nuovo sistema monetario possa avere successo, favorire un sostanziale riequilibrio all’interno della Comunità europea (e non sortire un effetto contrario), contribuire a una maggiore stabilità monetaria e ad un maggiore sviluppo su scala mondiale, è un rilevante problema politico.

Le esigenze poste da parte italiana non riflettevano solo il nostro interesse nazionale: la preoccupazione espressa dai nostri negoziatori fu innanzitutto quella di dar vita a un sistema realistico e duraturo, in quanto - cito parole e concetti del ministro del tesoro e del governatore della Banca d’Italia - "Un suo insuccesso comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale, sull’avvenire e sulle possibilità di avanzamento della costruzione economica europea e sulle condizioni dei singoli paesi".

E come condizione perché il nuovo sistema risultasse realistico e duraturo si indicò uno sforzo volto a contemperare le esigenze di rigore che un sistema di cambi deve necessariamente avere con la realtà della Comunità, che presenta situazioni fortemente differenziate; e in modo particolare si sollecitò una flessibilità del sistema tale da accompagnare senza sussulti il cammino del rientro dell’Italia verso condizioni economiche generali e, più in particolare, verso condizioni di inflazione prossime a quelle dei paesi più forti.

Gli interessi della costruzione comunitaria e gli interessi dell’Italia si sono cioè presentati come strettamente intrecciati tra loro.

Ma, ciononostante, le condizioni poste da parte itaiiana sono state in notevole misura disattese, e i rischi paventati e indicati dai nostri negoziatori e da tanti osservatori obiettivi, da tanti studiosi ed esperti, rimangono sostanzialmente in piedi.

Ella, onorevole Andreotti, ha dato invece nel suo discorso di ieri un apprezzamento largamente positivo dei risultati ottenuti, e non ha parlato più dei rischi. Ma l’apprezzamento positivo, punto per punto, strideva, me lo consenta, con il suo stesso giudizio complessivo, secondo cui la riunione di Bruxelles ha solo in parte soddisfatto le aspettative, dando l’impressione che si dimensionassero sia la suggestiva cornice di Brema, sia taluni propositi di concreta solidarietà che erano apparsi realistici nella fase preparatoria.

Inoltre, mentre su alcuni punti è apparsa corretta la valorizzazione, che noi non contestiamo, dei risultati conseguiti (la possibilità per la lira di oscillare nella misura del 6 per cento anziché del 2,25 per cento; le disponibilità di quello che poi diventerà il Fondo monetario europeo; alcuni aspetti del funzionamento dei meccanismi di credito), nella sua esposizione, onorevole Andreotti, non sono stati però presentati nella loro effettiva e cruda realtà i punti più negativi delle conclusioni di Bruxelles.

Così, per quel che riguarda gli accordi di cambio in senso stretto, si è teso quasi a far credere che si sia ottenuta una equilibrata distribuzione degli oneri di aggiustamento o, come si dice, una simmetria degli obblighi di intervento, tra paesi a moneta forte e paesi a moneta debole, in caso di allontanamento dai tassi di cambio iniziali e di avvicinamento al margine estremo di oscillazione consentito.

Ma l’ulteriore alterazione nell’ultimo vertice di Bruxelles nella formula relativa a questo aspetto essenziale dell’accordo di cambio, quella sostituzione - che può apparire innocuamente bizantina dell’avverbio "eccezionalmente" con l’espressione "in presenza di circostanze speciali", è stata solo la conferma di una sostanziale resistenza dei paesi a moneta più forte, della Repubblica federale di Germania, e in modo particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi ed a sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle monete e delle economie di paesi della Comunità.

E così venuto alla luce un equivoco di fondo, di cui le enunciazioni del consiglio di Brema sembravano promettere lo scioglimento in senso positivo e di cui, invece, l’accordo di Bruxelles ha ribadito la gravità: se cioè il nuovo sistema monetario debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, delle economie europee e dell’economia mondiale, o debba servire a garantire il paese a moneta più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania federale e spingendosi un paese come l’Italia alla deflazione.

E ben strano, mi si consenta, che di questo rischio, così presente nelle dichiarazioni del rappresentante del Governo il 10 ottobre alla Camera e il 26 ottobre al Senato, non si parli più nel momento in cui si propone l’adesione immediata, alle attuali condizioni, dell’Italia al sistema monetario europeo.

Non voglio ripetere le considerazioni già svolte puntualmente dal collega Spaventa sui motivi che giustificano e impongono un particolare sforzo del nostro paese per conseguire un più alto tasso di crescita, e sul rischio che invece i vincoli del sistema monetario, quale è stato congegnato, producano effetti opposti.

Ma desidero sottolineare che nulla ci è stato detto per confutare analisi come quella citata dal collega Spaventa secondo cui, di fronte ad una tendenza alla rapida svalutazione della lira rispetto al marco, che discende dallo scarto attualmente così forte tra tasso di inflazione italiano e tedesco, le regole dello SME ci possano portare ad intaccare le nostre riserve e a perdere di competitività, ovvero a richiedere di frequente una modifica del cambio, una svalutazione ufficiale e brusca della lira fino a trovarci nella necessità di adottare drastiche politiche restrittive. Il rischio è comunque quello di dissipare i risultati conseguiti negli ultimi due anni in materia di attivo della bilancia dei pagamenti e delle riserve, quei risultati di cui anche il cancelliere Schmidt, con un giudizio politicamente significativo, ha nei giorni scorsi messo in luce il valore. I1 rischio è quello di veder ristagnare la produzione, gli investimenti e l’occupazione invece di conseguire un più alto tasso di crescita; di vedere allontanarsi, invece di avvicinarsi, la soluzione dei problemi del Mezzogiorno.

Questi rischi erano tanto presenti al Governo e ai suoi rappresentanti nel negoziato per il sistema monetario che essi non solo avevano richiesto garanzie - in materia di accordi di cambio - ben più consistenti di quelle che si sono ottenute, ma avevano posto, come una delle condizioni non scambiabili con altre, quella del trasferimento di risorse e dalla revisione delle politiche comunitarie in funzione dello sviluppo delle, economie meno prospere.

Si disse che andava così compensata la più rigida disciplina economica, comunque implicita nel sistema monetario, e che occorreva procedere simultaneamente nelle diverse direzioni.

Mi pare che si tentasse di evitare che quella che il Presidente dal Consiglio ha ieri definito <la suggestiva cornice di Brema>, restasse solo una cornice e per di più ridimensionata. Da questo punto di vista, le cose sono andate purtroppo nel modo più deludente - non è giusto nascondercelo - per i limiti posti sia all’ammontare dei nuovi prestiti disponibili per l’Italia e l’Irlanda, sia alla misura (non più dd 3 per cento) degli abbuoni di interesse, sia all’utilizzazione dei prestiti stessi, con l’esclusione di qualsiasi progetto per lo sviluppo industriale (per quel ci riguarda nel Mezzogiorno) e addirittura di qualsiasi progetto che alteri i termini della <<competitività di particolari industrie all’interno degli Stati membri >>.

Il problema non era per altro solo questo, ma quello del concreto avvio alla revisione e allo sviluppo di determinate politiche comunitarie; anche se ovviamente nessuno si illudeva che tale revisione potesse essere conclusa entro il 4 o il 5 dicembre. Ma contano, a questo proposito, i segni negativi che si sono avuti.

Il primo vi è stato con il rifiuto francese di aumento del fondo regionale; rifiuto che significa molte cose: negazione dell’autorità del Parlamento europeo; negazione, al limite, della necessità di una politica di riequilibrio nell’ambito della comunità, di cui il mezzogiorno d’Italia sia tra i principali beneficiari; tendenza, comunque, della Francia a sottrarsi ad un maggior impegno in questo senso.

L’altro segno negativo è costituito dal fatto che a Brema non si sia niusciti ad avviare seriamente alcun processo di revisione della politica agricola comunitaria; che non si sia preso in esame neppure il memorandum a questo scopo predisposto e preannunoiato dal presidente della Commissione Jenkins. Non si sono nemmeno avuti chiarimenti esaurienti rispetto alle preoccupazioni esposte di recente nella Commissione agricoltura del Senato da esponenti di diversi gruppi, del partito repubblicano, della democrazia cristiana, e dallo stesso ministro dell’agricoltura, per quel che riguarda le ripercussioni di un’entrata immediata dell’Italia nello SME sul sistema dei prezzi agricoli, mentre non si sono definiti finora i correttivi di cui a questo proposito si è parlato, e le ipotesi pure ventilate di svalutazione della <lira verde> sollevano intanto seri interrogativi sugli effetti inflazionistici che ne potrebbero derivare.

Il tema della politica agricola comunitaria, onorevoli colleghi, è un tema centrale; e quando si compie il bilancio di questa politica, come di tutta l’esperienzacomunitaria, non si deve indulgere a semplificazioni retoriche di stampo idilliaco.

Non si può parlare di politica agricola comunitaria solo per ricordarne il fine dichiarato di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni rurali, e tacere sulle grandissime distorsioni che essa ha prodotto a beneficio dei paesi più ricchi a svantaggio di paesi come l’Italia, alla quale - se si calcola la differenza tra i prezzi dei prodotti CEE importati dall’Italia e quelli vigenti sul mercato internazionale - è stata addossata una tassa che da qualcuno viene calcolata (si tratta di calcoli probabilmente discutibili, ma non possediamo stime ufficiali) in 2 mila miliardi di lire. 


Tornando, Signor Presidente, alle conclusioni raggiunte a Bruxelles, non c‘è dubbio che esse autorizzassero largamente la decisione, presa il 5 dicembre dal Presidente del Consiglio, non di aderire entro otto giorni, ma di riservarsi ancora sostanzialm,ente la scelta dell’adesione immediata e a tutti gli effetti oppure no.

E le valutazioni espresse nel merito dei risultati ottenuti dal ministro degli esteri e dal ministro del commercio con l’estero pubblicamente, dal ministro del tesoro in Parlamento, ed in sede tecnica dalla autorità monetaria (senza che questa per altro travalicasse i limiti della propria competenza ed invadesse il campo della autorità politica, senza che si prestasse a strumentalizzazioni né in un senso né nell’altro), queste valutazioni sono a noi apparse tali da giustificare pienamente una scelta che si limitasse ad una dichiarazione di principio favorevole e alla partecipazione a talune dellle operazioni previste dalla risoluzione di Bruxelles, e che escludesse l’accettazione dal 1° gennaio dei vincoli di cambio, del meccanismo del tasso di cambio, tanto più in presenza di una analoga decisione della Gran Bretagna, con tutto ciò che questa decisione comportava e comporta.

Una scelta che infine esprimesse un impegno positivo e incisivo- dell’Italia per l’ulteriore confronto su tutti gli aspetti del nuovo sistema monetario e della politica complessiva di sviluppo della Comunità.

Perché non si è seguita questa strada ?

Perché non si sono raccolte le preoccupazioni e gli avvisi di prudenza che venivano da diversi settori della maggioranza e dall’interno dello stesso Governo ?

Queste preoccupazioni nascevano anche dall’esigenza finora non sodisfatta di collocare la creazione di un’area di stabilità monetaria in Europa nel più vasto quadro - ne ha parlato il collega Spaventa - di una ridefinizione dei rapporti con l’area del dollaro e di uno sforzo per giungere ad un nuovo ordine monetario internazionale e per contribuire ad una accelerazione, non ad un rallentamento, dello sviluppo economico mondiale.

Perché non si sono ascoltate abbastanza nei giorni scorsi queste voci e si è giunti ad una decisione precipitata ed arrischiata ? Onorevoli collleghi, su questo punto noi non possiamo ritenere che si sia fatta sufficiente chiarezza finora e ci si permetterà di contribuire alla ricerca di risposte sodisfacenti.

Parto dalle sollecitazioni e motivazioni davvero più nobili, quelle dei più ardenti fautori dell’unità europea, tra i quali il collega ed amico Altiero Spinelli. Questi amici si sono preoccupati di non contribuire, con una decisione di non ingresso immediato dell’Italia nello SME, a un parziale insuccesso di quello che appare il primo rilevante tentativo di rilancio del processo di integrazione europea dopo anni ed anni di involuzione e di crisi. Ma quello che non ci ha persuaso in tale motivazione è la tendenza ad attribuire ad un tentativo del genere, così come è concepito e congegnato, la virtù di mettere in moto una reale ripresa su basi nuove e solide dell’integrazione europea.

No, onorevoli colleghi, noi siamo dinanzi ad una risoluzione, quella di Bruxelles, che assume i limiti ristretti della creazione di un meccanismo del tasso di cambio le cui caratteristiche rischiano per di più di creare gravi problemi ai partecipanti.

Naturalmente non sottovalutiamo la importanza degli sforzi rivolti a creare un’area di stabilità monetaria. Ma se è vero che le frequenti fluttuazioni dei cambi costituiscono una causa di instabilità e un fattore negativo per lo sviluppo del commercio intracomunitario (la crisi di questo commercio non può per altro essere ricondotta soltanto alle fluttuazioni nei cambi) è vero anche che esse sono il riflesso di squilibri profondi all’interno dei singoli paesi, all’interno della Comunità europea e nelle relazioni economiche internazionali.

La verità è che forse - come si è scritto fuori d’Italia - si è finito per mettere il << carro >> di un accordo monetario davanti ai <<buoi>> di un accordo per le economie. Ed è invece proprio su questo terreno, oltre che su quello della revisione del meccanismo dei cambi in quanto tale, che occorreva continuare a premere, a discutere, a negoziare.

Ma - ci si chiede - come: stando dentro o stando fuori?

Francamente di fronte ad una domanda di questo genere noi sentiamo il bisogno di osservare - e mi scuso per l’ovvietà - che il 5 dicembre non si è creata a Bruxelles una nuova Comunità europea al posto della vecchia.

Noi continuiamo, evidentemente, qualunque sia la decisione relativa allo SME, a stare dentro tutte le istituzioni e le sedi di confronto comunitarie; possiamo anche partecipare, pur non aderendo nell’immediato al sistema monetario, a consultazioni specificamente previste dalla risoluzione di Bruxelles in materia di politiche monetarie.

Il documento approvato il 5 dicembre - e questo è un suo aspetto indubbiamente positivo - non scava alcun solco fra chi aderisce subito e chi si riserva di aderire successivamente; né credo che il nostro  ingresso immediato avrebbe avuto un effetto traumatico, quasi che dipendesse da ciB che lo SME nascesse, come ha detto ieri l’onorevole Andreotti, a sei invece che ad otto e mezzo (tanto per restare nel gergo monetario, non riesco a capire quale unità di conto abbia adoperato l’onorevole Andreotti per attribuire un peso del due e mezzo all’ingresso immediato dell’Italia nel sistema monetario).

E nostra convinzione che avremmo potuto esercitare una maggiore forza contrattuale mantenendo la nostra riserva, la nostra posizione di non ingresso immediato.

Onorevoli colleghi, in quest’aula si è parlato (vi si è riferito poco fa anche il collega Cicchitto)delle sollecitazioni e delle assicurazioni pervenuteci negli ultimi giorni da governi amici; sembra anche che esse abbiano avuto un notevole peso nella scelta finale del Governo.

Per la verità voglio ricordare che anche qualche altra volta abbiamo ricevuto telegrammi. Ricevemmo - non è vero, ministro Marcora? - un telegramma pieno di assicurazioni dal cancelliere Schmidt anche nel maggio scorso, per invitarci a sciogliere la riserva sul negoziato per i prezzi agricoli e sul << pacchetto >> mediterraneo.

Quale seguito han. no avuto quelle assicurazioni telegrafiche ?

Anche in questa occasione più dei messaggi a fuochi spenti sarebbe valso l’accoglimento concreto di determinate istanze e proposte.

Queste sollecitazioni, comunque, confermano l’esistenza di un reale e forte interesse degli altri paesi membri della Comunità ad avere l’Italia al più presto presente nel sistema monetario. Si sarebbe, dunque, potuto far leva su questo interesse, non dando la adesione immediata allo SME, per portare avanti un serio negoziato, utilizzando le stesse scadenze previste dalla risoluzione di Bruxelles, in particolare la scadenza della revisione di determinate misure dopo sei mesi, nonché altre occasioni e scadenze, soprattutto quella della annuale trattativa di marzo sui prezzi agricoli, che va trasformata in un ben più ampio ed impegnativo negoziato sulla politica agricola nel suo complesso, partendo da proposte già elaborate in Italia dai partiti, dal Parlamento e dal Governo, per le modifiche da realizzare sia nell’immediato, sia nel medio periodo.

Si tratta, in definitiva, di muoversi in modo conseguente per una trasformazione della Comunità - a cui ci auguriamo possa contribuire anche quell’importante, primo elemento di democratizzazione che è costituito dall’elezione diretta del Parlamento europeo - che punti all’affermarsi di un nuovo modo di guardare allo sviluppo dell’economia europea, non concependo più - siamo d’accordo su questo punto fondamentale con il collega Spinelli - questo sviluppo come consolidamento delle economie più forti e come ulteriore elevamento del livello di benessere nei paesi più ricchi, ma come impegno di espansione verso le regioni più arretrate della stessa Comunità e verso i paesi di quello che veniva definito terzo mondo.

Ma se ci si vuole, onorevoli calleghi, confrontare con questi che sono i problemi di fondo, i problemi delle politiche economiche, del ritmo e della qualità dello sviluppo, bisogna sbasrazzarsi di ogni residuo di europeismo retorico e di maniera dando ben altra organicità, forza e coerenza alla presenza dell’Italia nella Comunità.

Sappiamo che passa qui una linea discriminante fra diversi modi di concepire e di praticare l'impegno europeista, ma sappiamo anche che su questo punto esistono posizioni convergenti fra diversi partiti; in primo luogo, come hanno dimostrato le vicende di queste settimime e questo dibattito, tra il partito comunista ed il partito socialista, ma non salo tra essi.

Nella nostra visione - desidero ribadirlo - tutela degli interessi nazionali e impegno per il rilancio dell’integrazione europea fanno tutt’uno.

Nessuno di noi ha commentato il vertice di Bruxelles ponendo i problemi come li ha posti il primo ministro Callaghan ai Comuni, senza essere per questo accusato di golpismo.

"La semplice verità" - ha dichilarato Calllaghan - "è che noi a Bruxeliles abbiamo valutato i nostri interessi nazionali esattamente come altri paesi hanno valutato i loro".

Noi non poniamo i problemi in questi termini, proprio perché siamo convinti che l’interesse ,del nostro paese, e specificamente l’interesse del nostro Mezzogiorno, coincida con la causa di uno sviluppo della Comunità su base di maggior coordinamento e integrazione ddle poliltche economiche e in direzione delle regioni più arretrate. Ma quella che non possiamo accettare è una posizione di rinunci a battersi per la trasformazione dellla Comunità e ‘dei suoi indirizzi, di sfiducia radicale nel ruolo ,del nostro paese e di utilizzazione strumentale dei nostri impegni comunitari a fini interni, quali che siano.

Da parte di alcuni esponenti del partito repubblicano si è giunti a sostenere che << l’Italia non dovesse scegliere in questi giorni se appartenere o meno ad un meccanismo valutario o ad un’area di stabilità dei cambi, ma se recidere >> - dico recidere - << o meno i suoi legami con i paesi dell’Europa occidentale, sul terreno economico e sul terreno politico.

Ma questa è una tesi che non trova alcun riscontro obiettivo, che non poggia su atcun argomemto razionale e si colloca, invece, nel quadro di una drammatizzazione gratuita ed esasperata della scelta che era davanti al nostro paese.

Si è giunti anche a dire che, d’altra parte, noi saremmo nell’imbarazzo, perché l’europeismo dei comunisti deve ancora tradursi in atti pratici.

Ma atti pratici, coatributi pratici sul terreno europeistico ne abbiamo dati assai più di altri, in dieci anni di lavoro altamente qualificato nel Parlamento europeo, che qualunque osservatore obiettivo ha riconosciuto ed apprezzato.

Al di là di ciò già un mese fa non è mancata in qualche discorso da me personalmente ascoltato l’affermazione che il nostro paese non fosse in grado di porre alcuna condizione e che la sola speranza di salvare l’Italia da sviluppi catastrofici della crisi attuale fosse il vincolo esterno di un rigoroso meccanlsmo di cambio.

Chi sostiente questo fa un grave torto a tutte le forze democratiche italiane dimenticando prove come quella dell'autunno 1976, quando, di fronte ad una drammatica caduta della lira i partiti dell’attuale maggioranza, i partiti democratici, con la collaborazione delle forze sociali, con la collaborazione del movimento sindacale, seppero assumere impegni severi, che valsero ad evitare il peggio e permisero di conseguire quei risultati, per quanto parziali, su cui oggi possiamo fare affidamento per fronteggiare le difficoltà che ci stanno davanti.

Noi non attenuiamo minimamente - ella lo sa, onorevole Ugo La Malfa, ma io tengo a ribadirlo - il nostro giudizio sulla persistente e per certi aspetti crescente gravità degli squilibri di fondo che minano lo sviluppo economico e sociale del nostro paese. Noi non ci nascondiamo l’acutezza di problemi come quelli della produttività, del costo del lavoro, della competitività.

Concordo con le considerazioni che sono state svolte a questo proposito da altri colleghi. Non può reggere a lungo - è questa la nostra persuasione - una << via italiana >> alla competitività, basata su una svalutazione strisciante, su un alto tasso di inflazione, sull’economia sommersa e sul lavoro nero.

E - voglio aggiungere - non ci nascondiamo le difficoltà che incontra lo sforzo per trovare consensi nelle parti sociali attorno a comportamenti coerenti con le esigenze del rilancio degli investimenti, di sviluppo del Mezzogiorno e dell’occupazione e, insieme, di lotta all’inflazione.

Ma queste difficoltà non vengono solo dall’interno del movimento sindacale e lì, comunque, siamo noi che con più chiarezza e coraggio reagiamo a posizioni che consideriamo sbagliate. La si smetta, però, onorevoli colleghi, di guardare da una parte sola, senza vedere le responsabilità che altre forze si stanno assumendo (parlo di forze imprenditoriali) con i loro atteggiamenti negativi nei confronti di ogni prospettiva di programmazione e nei confronti proprio delle più qualificate proposte del movimento sindacale.

Comunque, proprio per rispondere a queste  difficoltà fu concepito il << docunento Pandolfi >> e si assunse l’impegno del piano triennale il cui obbiettivo - non si dimentichi - deve essere la riduzione graduale del tasso di inflazione ma, insieme, il rilancio degli investimenti e della occupazione, in un contesto di rinnovata solidarietà europea.

E' sul piano triennale che si deve realizzare il necessario severo confronto fra tutte le parti investite di responsabilità nella vita politica, economica e sociale.

Ma in quale rapporto con questo impegno così importante andava posta la questione dell’ingresso immediato o meno dell’Italia nel sistema monetario europeo ?

Condividiamo l’opinione che è stata espressa, secondo cui il confronto sul piano triennale previsto per le prossime settimane andava assunto come la necessaria preparazione ad una entrata credibile dell’Italia nel nuovo sistema, piuttosto che come insostenibile conseguenza di una entrata prematura.

Se oggi, comunque, tra i fautori dell’ingresso immediato circolasse il calcolo di far leva su gravi difficoltà che possono derivare dalla disciplina del nuovo meccanismo di cambio europeo per porre la sinistra ed il movimento operaio - eludendo la difficile strada della ricerca del consenso - dinanzi ad una sostanziale distorsione della linea ispiratrice del programma concordato tra le forze dell’attuale maggioranza, dinanzi alla proposta di una politica di deflazione e di rigore a senso unico, diciamo subito che si tratta di un calcolo irresponsabile e velleitario, non meno di quelli che hanno spinto determinate componenti della democrazia cristiana a premere per l’ingresso immediato dell’Italia nello

SME in funzione di meschine manovre anticomuniste, destinate a sgonfiarsi rapidamente ma non senza aver prodotto il danno di una irresponsabile mescolanza tra fatti di corrente e di partito e scelte altamente impegnative, sul piano internazionale e sul piano interno, per il nostro paese.

Noi attendiamo, onorevoli colleghi, le risposte del Governo - dando già ora ed essendo pronti a dare il nostro contributo costruttivo - sui problemi aperti acutamente e posti con forza dal movimento sindacale per Napoli, la Calabria ed il Mezzogiorno, problemi ormai non più prorogabili, sui temi di una politica di seria lotta all’inflazione ed alla disoccupazione sui contenuti e gli strumenti del piano triennale per la finanza pubblica e per la economia che dovrà essere presentato entro il 31 dicembre.

Anche in questo momento difficile, che vede una divisione non certo irrilevante in seno alla maggioranza, il nostro obbiettivo, la nostra scelta non è una crisi di Governo, ma il superamento delle debolezze e delle ambiguità che hanno finora caratterizzato l’azione di Governo, il rilancio della solidarietà tra i partiti della maggioranza per superare l’emergenza, per risanare l’economia italiana rinnovandola nelle sue strutture, per risanare la finanza pubblica attraverso una pratica di effettivo rigore in tutte le direzioni e garantendo una effettiva giustizia - dalla quale si continua a restare molto lontani - nella ripartizione dei sacrifici.

Dicevo all’inizio, onorevole Andreotti, che condividiamo oggi un dibattito difficile; ma nella vita di un’ampia maggioranza come quella che oggi sorregge il Governo vi sono momenti in cui si impongono la chiarezza delle rispettive posizioni e la distinzione delle responsabilità.

Questa distinzione, onorevole Presidente del Consiglio, noi non l’abbiamo ricercata. Ella ha ritenuto di dover compiere una scelta, che consideriamo rischiosa e da cui dissentiamo, e di doversi assumere una responsabilità che non ci sentiamo di condividere.

Ci auguriamo che le prossime scadenze vedano una seria ripresa dell’impegno comune dei partiti dell’attuale maggioranza a fare uscire il paese dalla crisi.

Ci guida comunque la serena coscienza di aver operato lealmente nell’interesse dell’Italia e dell’Europa 


(Vivi applausi dell’estrema sinistra - congratulazioni).

>>

Qui trovate la trascrizione di tutti gli interventi:

http://www.camera.it/_dati/leg07/lavori/stenografici/sed0383/sed0383.pdf

Sandro.

sabato 15 dicembre 2012

Ex Cathedra


Essere cittadini oggi è difficile.

C’è sempre un “esperto” pronto a dirti le cause di un fenomeno ed a regalarti il rimedio giusto. Colpa forse della superspecializzazione dei nostri saperi, se proprio dobbiamo trovare un colpevole.

E’ successo anche in politica: l’arrivo dell’esperto è in grado di mettere tutti a tacere.

Il Professor Monti, ad esempio, è piaciuto subito a tutti : ha fatto ben sperare.

Gli italiani, fondamentalmente, hanno una mentalità provinciale. Si fanno persuadere facilmente da una persona soprattutto se è ben vestita, e se è un illustre professore perbacco, con quella saccenza niente affatto nascosta, tutta l’aria del “signore” insomma, capace di farci sentire ignoranti e reverenti.

Mi chiedo se sia ancora possibile ingannare la gente con le parole? Non riesco a non pensare al Dott. Azzeccagarbugli ed al povero Renzo. Siamo davvero ancora lì?

Temo proprio di sì: soprattutto  quando si tratta di economia.

In fondo poi lo sappiamo, siamo un popolo di commissari tecnici in grado di spiegare perché la squadra non è andata come doveva e quali giocatori avremmo dovuto inserire al momento giusto; 

ma anche di medici vista la  nostra naturale propensione all’ipocondria;
 
di metereologi, visto il dissesto idro-geologico si affinano infatti le competenze; 

di cuochi, visto il numero di programmi di cucina in tv; 

di analisti politici, vista la naturale propensione  - anche nei tg - a commentare le  parole dei nostri politici sempreverdi.

Ma sicuramente se ci vogliono zittire, ci mettono davanti un Professore di Economia (magari anche banchiere), che ci “spiega”, dalla cattedra, perché non ce la facciamo ad arrivare alla fine del mese e i sacrifici che dobbiamo fare per salvare il nostro paese se non vogliamo stare ancora peggio.

Di fronte al Professore in cattedra non resta che abbassare la testa e prendere appunti. E’ inevitabile che ci impieghiamo di più a capire che ancora una volta, non ci sarà nessun risanamento del paese.

Un Professore che parla di economia non  può essere contraddetto. Possiamo solo sperare nella stiracchiata sufficienza, ripetendo a memoria che la colpa è del debito pubblico e che abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità.

Non c’è altra cura che tagliare pensioni, salari e privatizzare i servizi.
 
Non c’è alternativa. L’ha detto il Professore!

Eppure, schiva e latente, senti una vocina interna che ti mette in allerta dicendoti che la verità non è questa. Che la forma nuova non ha cambiato la sostanza. Che anche se lo dice il Professore, non può essere questa la via per ritornare su...

Non posso fare a meno di pensare a come il nostro atteggiamento reverenziale e piccolo borghese verso gli aspetti formali della comunicazione possano essere la conseguenza anche dal nostro modo di fare scuola, la scuola di Giovanni Gentile per intenderci che è spesso ancora latente nel nostro modo di insegnare. 

“Una scuola di tipo aristocratico, cioè pensata e dedicata "ai migliori" e non a tutti e rigidamente suddivisa a livello secondario in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo professionale per il popolo e la classe lavoratrice”.

http://it.wikipedia.org/wiki/Riforma_Gentile


Diceva Michail Bachtin “e’ solo agli occhi di un’altra cultura che la nostra propria cultura si rivela più completamente e più profondamente (ma mai esaustivamente, perché ci saranno sempre altre culture che sapranno vedere e comprendere ancora meglio)".  (L’estetica della creazione verbale).

Parte da questa considerazione Marianella Sclavi docente di sociologia per fare una analisi comparata tra il sistema scolastico italiano e quello americano, facendo l’ombra a due studentesse di due licei bene, uno di  Roma  e l’altro di New York. Ne ricava interessanti riflessioni anche sul concetto di autorità.

<<
Nei corridoi del Crying Wolf vedo l’insegnante di studi sociali che avanza in pantaloncini corti e camicetta sportiva.

Fase 1: Mia reazione in quanto ex allieva, ex insegnante ed ex madre nella scuola italiana: stupore, un certo disagio, un senso di allarme per attentato alla dignità professionale, riso. Immagino da parte degli studenti risatine, commenti ironici, agitazione.
 
Fase 2: Mi guardo attorno. Chloe e gli altri studenti, a differenza di me, rimangono totalmente rilassati, salutano il professore con giovialità, senza contargli i peli sulle gambe. Disciplinati, annoiati… “normali”, insomma.  

Ne deduco che : 

a) questo “stesso atto”, un professore che entra in classe in pantaloncini corti, ha significati diversi nei due contesti; 

b) che anche il senso dell’”autorità” connesso con l’insegnare è diverso nei due contesti.
 
Fase 3: Rido di me stessa per essermi lasciata appiattire negli immaginari della mia cultura, ma sono anche contenta di aver subito questo incidente…..

Ed ecco, al Crying Wolf, una scena cui assisterò una domenica mattina della prossima primavera, durante una festa di carnevale organizzata dai sophmores, i ragazzi del secondo anno di liceo. 

In mezzo alla musica rintronante e alle bancarelle di vendita dei dolciumi per vari autofinanziamenti, vedo il Prof. Frank Esposito, insegnante di matematica, in pantaloncini corti, tutto sorridente e tutto grondante, come se gli avessero rovesciato un secchio d’acqua in testa. Mi saluta disinvolto e continua a chiacchierare con un allievo, come se niente fosse. Dopo un poco vedo arrivare, sempre sorridente, sempre in pantaloncini corti, ma ancora asciutto, il sovrintendente generale del Distretto scolastico. 

Chiedo che succede. Mi spiegano che fra i baracconi carnevaleschi allestiti dagli studenti ce n’è uno di molto successo in cui professori e amministratori sono invitati a sedersi sotto un secchio d’acqua che si rovescerà sulla loro testa quando lo studente di turno sarà riuscito a colpire un certo bersaglio. 

Mi piacerebbe vedere una scena del genere in un liceo italiano.
>>

Da "A una spanna da terra (indagine comparativa su una giornata a scuola negli Stati Uniti e in Italia e fondamenti di una “metodologia umoristica") di Marianella Sclavi - Feltrinelli

Silvia.



lunedì 10 dicembre 2012

L'inizio della fine



Trovo particolarmente illuminante, di una sinistra luce retrospettiva, questo pezzo di Badiale e Tringali dedicato alla ricostruzione del passaggio storico che portò l'Italia, nel 1978, dentro il Sistema Monetario Europeo (lo SME):

http://il-main-stream.blogspot.it/2012/09/lo-sme-leuro-e-la-sinistra-italiana.html

Ed è molto interessante ed istruttivo vedere quale fu la posizione della sinistra (il PCI di Berlinguer e Napolitano del '78) che, allora, dopo il delitto Moro, appoggiava, dall'esterno, il governo Andreotti IV.

 

I comunisti non furono frontalmente contrari all'ingresso dell'Italia nello SME ma si opposero alla decisione dell'ingresso immediato (fortemente voluto da Francia e Germania) e alla mancanza dei necessari "correttivi" (suggeriti dal governo italiano e poi  respinti dalla compagine europea schierata con compattezza) che avrebbero mitigato e ammortizzato, gli effetti negativi dell'unione monetaria sui salari e sul lavoro.
 

Quindi il PCI votò contro l'ingresso immediato nello SME ma non votò contro lo SME nel suo complesso.

L'italia, quindi, entrò, nel 1978.

Nel 1981 si consumò poi il cosiddetto "divorzio" tra Bankitalia e Tesoro cioè la Banca Centrale Italiana (la Banca di emissione della lira italiana) smetteva irrevocabilmente di acquistare i Titoli di Stato che non si riuscivano a collocare nelle aste togliendo una fondamentale fonte di domanda e quindi una leva per calmierare i tassi di interesse.

Questi due "colpi di mortaio" hanno dato inizio ad una parabola neo-liberista che ha avuto il suo culmine ascendente nel 1999 con l'introduzione dell'euro ed hanno provocato nei dodici anni dal 1981 al 1993 la duplicazione del rapporto debito/pil (dal 60% al 120%) non certo causato dalla spesa-pubblica-improduttiva che - anzi - fu sempre inferiore alla media europea - ma dallo sconsiderato aumento dei tassi di interesse determinati univocamente dai "mercati".

La domanda che mi faccio e a cui non riesco ancora a dare una risposta è:

PERCHE' ?

Perchè, nel '78 e nel '81 furono prese queste decisioni ?

Quali furono gli interessi palesi o occulti che determinarono questi passi ?

Quali furono le pressioni internazionali spinsero l'Italia in questo percorso ?

Perchè il PCI non si oppose o si oppose così blandamente ?

E perchè, dopo la debacle dello SME nel 1992 (segno evidente di una insostenibilità strutturale di un regime di cambio fisso tra i paesi europei) abbiamo di nuovo intrapreso la stessa strada senza nessun correttivo ma, anzi, con maggiori elementi di rigidità ?

Sandro.

domenica 11 novembre 2012

La Crisi, l'Euro e l'Europa

DOMENICA 9 DICEMBRE 2012
a BOLOGNA
La trappola dell’Euro, la sovranità perduta e l’inganno della flessibilità del lavoro sono alla base della più grave crisi economica e sociale del nostro Paese dalla fine della seconda Guerra Mondiale.



ERA DAVVERO INEVITABILE ?

MA SOPRATTUTTO,

SE NE PUO’ USCIRE ?  

E COME ?



Ne parliamo


DOMENICA 9 DICEMBRE 2012
a BOLOGNA

ALLE ORE 15:30


presso la

SALA CONGRESSI 
HOTEL BEST WESTERN RE ENZO

VIA SANTA CROCE N°26 

( ADIACENZE VIA DELLA GRADA, VIA SAN FELICE )


assieme a:


Stefano d’Andrea                                    

( Docente di Diritto e Presidente dell’Associazione Riconquistare la Sovranità )


Marino Badiale                     

( Matematico e autore con Tringale de “ La Trappola dell’Euro” )


Nino Galloni 

( Economista ed ex Funzionario del Ministero del Tesoro )



Introduzione di Mauro Tedesco.



Vi aspettiamo !

 

sabato 3 novembre 2012

Verso la Nuova Mente


La società contemporanea è un sistema estremamente, enormemente complesso.

Possiede miliardi di gradi di libertà.

Gli individui, gli "agenti", siano essi persone fisiche o giuridiche, sono tra loro interconnessi da una fittissima rete di relazioni e comunicano tra loro attraverso una molteplicità di canali sempre più veloci ed efficienti.

Governare (cioè imprimere una direzione ad) un sistema così complesso è impresa assai ardua, quasi impossibile.

Perchè qualsiasi vertice di governo, qualsiasi "mente" politica / economica, non sarà mai in grado di esprimere lo stesso livello di complessità del "corpo" che deve guidare e dirigere.

La mente sarà sempre un po' più stupida del corpo.

Perchè la mente della società (cioè il vertice politico/economico che la guida) sarà costituita, di volta in volta, da strutture, istituzioni, organigrammi, regole, ruoli, ecc... che - per definizione - assumono (devono assumere) una configurazione rigida e poco incline al cambiamento.

Per un certo periodo la struttura di vertice è in grado di cogliere gli elementi essenziali della società "sottostante" e di guidarla cioè di imprimere alla società degli stimoli in grado di orientare il movimento complessivo del corpo sociale verso una direzione determinata o verso la direzione auspicata. Riuscendoci solo in parte.

Ma il corpo sociale, proprio a causa della sua incredibile complessità, evolve più rapidamente della struttura di vertice che si è, di volta in volta, organizzata per guidarlo.

Quindi, dopo un certo lasso di tempo, la struttura di vertice diventa "vecchia", cioè non più adatta a guidare la nuova società. Arranca, arretra, diventa obsoleta, da rottamare.

Ecco allora che le strutture di vertice devono - per loro natura e a causa del loro limite - essere periodicamente distrutte e sostituite con nuove strutture, più moderne e più adatte a guidare il nuovo assetto del corpo sociale.

E così via. Ad libitum.

E poi, dato che la velocità di trasformazione della società diventa sempre più elevata - grazie all'incredibile effetto "leva" delle tecnologie - questi cicli di distruzione e ricostruzione del vertice si ripetono ad intervalli temporali sempre più brevi.

In passato, le strutture di vertice (pensiamo, ed esempio, agli imperi della antichità classica) duravano millenni o secoli.

Oggi durano decenni, anni.

Sembra quasi che l'essere umano, da solo, contando solo sulle sue forze, non sia in grado di esprimere una intelligenza collettiva (e strutturata) in grado di guidare la complessità del suo stesso corpo sociale.

E l'unico modo che ha per guidare il caos sociale verso un ordine accettabile sia quello di sostituire continuamente le strutture di vertice con strutture sempre più nuove e sempre più adeguate.

Pensiamo, nel nostro piccolo, alle vicissitudini della Prima Repubblica terminate improvvisamente con la "rivoluzione" del 1992 e oggi, a distanza di soli 20 anni, la "rivoluzione" del 2012 in corso che rende di nuovo "liquide" le strutture di potere create con la Seconda Repubblica per aprire una nuova stagione di governo (imperniata attorno alle nuove tecnologie della rete) che guiderà per un po' la Terza Repubblica nello svolgimento del suo rapido ciclo verso la Quarta, la Quinta la Ennesima Repubblica (forse).

Fino a quando ?

Sinceramente vedo in questa dinamica un'altra manifestazione di quell'avvicinamento frenetico verso la Singolarità Tecnologica che Vernor Vinge e Ray Kurzweil hanno da tempo profetizzato osservando l'evoluzione del paradigma teconologico del nostro tempo.

L'ultima struttura di governo, l'ultima "mente", non avrà più nulla di umano - quindi - sarà trans-umana e proprio per questo sarà in grado di evolvere alla stessa velocità del corpo sociale o, addirittura, ad una velocità sempre maggiore. Sarà in grado di governare la complessità senza invecchiare mai senza diventare mai obsoleta.

Resta solo da vedere se governerà per il nostro bene o per il "suo". 

E che uso farà del suo "corpo" di cui noi saremo delle semplici cellule.

Lo scopriremo presto (in questa generazione).

E certo non rimpiangeremo le continue distruzioni-creatrici a cui siamo sottoposti, oggi, a causa della nostra molto umana incapacità di auto-governarci.

Sandro.

giovedì 1 novembre 2012

Il posto dell'orologio


 Busso alla porta perché sono leggermente in ritardo ed entro. Per fortuna non hanno ancora inziato. Entrare in una classe scolastica per una riunione per i propri figli, ti fa subito rituffare nel tuo passato di studente.

Cerchi gli “amici” (le mamme che conosci) e provi a metterti nelle ultime file. Invece mi indicano il posto libero al primo banco proprio di fronte alla lavagna.
Mi siedo e avverto subito un senso di inferiorità spaziale. 


Le insegnanti sono sedute dietro la cattedra e noi tutte sulle seggioline dietro ai banchi: come ai vecchi tempi insomma !

I banchi sono tanti e la classe è molto più piccola e stretta, di quella degli anni precedenti. In quinta elementare infatti, deve essere opinione condivisa dal gruppo docente che i bambini abbiano meno bisogno di muoversi.
 
Lo spazio non parla di una volontà di partecipazione dei presenti e gli arredi dicono che noi genitori siamo lì per ascoltare quello che le docenti hanno visto e valutato. E infatti, poco dopo, arriva la stangata!

“Noi siamo contente, però vi dobbiamo dire che ci sono problemi di attenzione. 
I bambini si distraggono subito, dopo appena mezz’ora che parliamo. Sì, sì… sono curiosi, creativi, ad esempio con la musica sapete bene cosa sono stati in grado di fare l’anno scorso e anche negli anni precedenti, ma riguardo ai tempi di attenzione non ci siamo ! Ve lo dobbiamo proprio dire...”.

Siamo tutte in silenzio, con le orecchie basse. Penso alla fatica dei compiti pomeridiani e del fine settimana dopo 5 giorni di scuola a tempo-pieno

All’impegno profuso di corsa al ritorno dal lavoro, quando dopo otto ore di scuola,
diciamo “Forza devi studiare per domani”. Tempo inutile quindi?

Continua l’insegnante: 

“Come dire? Sono piccoli, piccoli, piccoli. Ci chiedono sempre di andare a giocare oppure quando c’è la ricreazione?
 
E poi guardano sempre l’orologio. L’orologio prima era lì, dietro ai banchi e i bambini si giravano continuamente di spalle per guardare che ora era.  

Noi abbiamo avuto altre classi, dove i bambini ci chiedevano - che facciamo ora maestre? -. 

Ecco loro non sono così".

C’è sempre un alibi per non disconfermare il nostro lavoro.

"Allora vedendo questi comportamenti abbiamo deciso di ... spostare l’orologio, l’abbiamo nascosto lì dietro l’armadio”

E’ accorata nel parlare mentre ci svela, con compiacimento, la brillante strategia individuata per stimolare l'attenzione dei suoi allievi.

Interviene la collega ridendo: “è vero, l’altro giorno cercavo l’orologio e non lo trovavo e poi l’ho visto là, nascosto proprio sopra gli appendiabiti.”

Il loro riso e la loro postura mi raggelano.

Sono in buona fede, convinte e certe di svolgere al meglio il loro ruolo di insegnanti.

E forse è così.

Fare scuola, oggi, significa introdurre più nozioni possibili nella testa degli allievi, considerate tabula rasa. E’ per questo che è tutto un susseguirsi di test di preparazione per l’Invalsi e di ripetizioni nozionistiche e a memoria.

Verranno valutate anche le maestre a loro volta, sulla base di questi criteri/valori, quindi perché non dovrebbero crederci ? 

Il prezzo che si paga è quello di sottrarre tempo ai bambini ed anche la loro reale identità, ma ormai molti non se ne accorgono più…

E come se non bastasse, il tempo dei bambini è rubato anche dall’extrascuola. E’ una gara infatti tra le famiglie per iscrivere i bambini a più corsi extrascolastici possibili: teatro, musica, inglese, informatica. 

Insomma per i bambini del tempo pieno, quaranta ore di scuola più compiti, più pre/ post scuola, più attività extrascolastiche.

Il tempo libero è morto: proprio quello che genera la creatività e che consente di sedimentare le esperienze della vita...

Ecco il nostro PIL: bambini pieni di nozioni, cose da fare, distratti, iperattivi, già stressati fin da piccoli.

Come sembrano lontani gli anni della scuola attiva, quella di Freinet, Lombardo Radice, Dewey, Montessori !

La scuola come un laboratorio di idee, di azioni, di scambi, dove il corpo e la mente non sono due entità distinte.

La scuola dove l’apprendimento cooperativo e di gruppo è un valore individuale e sociale.  

E’ di moda, invece, il comportamentismo. Quello del 'bastone e carota' per incentivare l’apprendimento.

E così, oggi, a scuola, le menti dei bambini fuggono.

Sono lì con i loro corpi, prigionieri, per lo più invisibili nelle loro diverse individualità agli occhi degli adulti, che non vedono i loro reali bisogni e le strade più adatte per fare esprimere le loro potenzialità.

Ma le loro menti sono per fortuna in un’altra scuola, quella del futuro.

Infatti, anche se spostiamo l’orologio, il tic tac del tempo che passa non potremo fermarlo: non ci resta che sperare che i bambini siano in grado di portarci in un futuro diverso, dove il valore delle persone e quelli della società vengano riscoperti.

http://www.infanziaineuropa.eu/index.phtml?id=528


Silvia.

sabato 27 ottobre 2012

L'Albo Nazionale degli Eleggibili


 Per fare qualsiasi professione seria, è necessario aver acquisito un certo "capitale" di conoscenza specialistica ed essere in grado di certificarla.

Oltre alla conoscenza specialistica - che si consegue, di norma, all'Università oppure dentro i luoghi di lavoro - sono spesso richiesti alcuni pre-requisiti di natura legale, etica, economica.

Le persone che posseggono le adeguate certificazioni di competenza e possono dimostrare di possedere i requisiti richiesti, vengono spesso iscritte ad un Albo Nazionale cioè ad una lista, ad un elenco pubblico di tutti coloro che risultano abilitati a svolgere una determinata professione.

E per i politici ?

Per poter essere eletti come rappresentanti del popolo nelle istituzioni democratiche ? Che requisiti ci vogliono ? E che competenze ? E come sono certificati questi requisiti e queste competenze ?

Ovviamente non c'è nulla di tutto ciò !

Non ci sono certificazioni, non ci sono meccanismi oggettivi e trasparenti di selezione della classe politica.

Tutto è affidato al "buon cuore" dei partiti che si organizzano come vogliono per gestire la selezione della (cosiddetta) classe dirigente e formare le liste.

E abbiamo visto con quali nefaste conseguenze !

Bene, allora io faccio una proposta:

Istituiamo una Albo Nazionale degli Eleggibili, a cui si accede per titoli ed esami, con una prova nazionale svolta una volta all'anno e rivolta a tutti coloro che intendono candidarsi in un qualsiasi partito politico per diventare rappresentanti del popolo ad un qualsiasi livello della articolazione istituzionale italiana.

Una commissione di esperti e di garanti, formata da persone di elevatissimo profilo istituzionale e culturale, potrebbe stilare i requisiti di accesso all'Albo, il regolamento di selezione e le competenze minime richieste ai candidati.

Tra i requisiti necessari io suggerirei i seguenti:

- non avere procedimenti civili o penali in corso
- non avere condanne civili o penali passate in giudicato
- non trovarsi in condizioni di conflitto di interesse
- possedere un curriculum vitae che dimostra correttezza e diligenza nella propria vita professionale

Per le competenza necessarie:

- perfetta conoscenza della Costituzione Italiana (praticamente a memoria)
- fondamenti di storia nazionale, europea, mondiale
- fondamenti di economia e finanza
- fondamenti di diritto civile e costituzionale

Non chiederei, quindi, una laurea o un master per non escludere dalla "competizione" tutte quelle persone che - pur non avendo potuto accedere alla istruzione superiore accademica - sono dotate di intelligenza e volontà e, soprattuto, sono animate da un sano spirito di servizio. Certo anche le persone prive di un titolo accademico dovrebbero studiare e prepararsi per poter superare l'esame di certificazione delle competenze richieste dall'Albo. Ma oggi tutti possono studiare ed apprendere, qualsiasi materia, se lo vogliono, anche solo accedendo alla rete.
Il candidato deve essere in grado di dimostrare un livello adeguato di certificazione etica (si, uso proprio questo termine) e di possedere un livello minimo di conoscenza che gli possa consentire di muoversi dentro le istituzioni democratiche del nostro paese con la giusta consapevolezza ed autonomia. Non importa come si è procurato questa conoscenza, se con lo studio individuale o frequentando corsi universitari. L'importante è che si certifichi il possesso di quella conoscenza.

Per tutto il resto se la vedrà con gli elettori della sua parte politica attraverso gli impegni di programma e sottoponendosi alle verifiche elettorali.

Ma la base - la base minima per essere credibili - deve essere certificata con un esame di ammissione all' Albo Nazionale degli Eleggibili.

Dopodichè, il partiti politici, possono mettere in lista solo ed esclusivamente le persone iscritte all'Albo.

Cosa ne pensate ?

Facciamo una bella legge di iniziativa popolare per mettere in piedi questa cosa ?

L'Italia ne ha tanto bisogno.

Sandro.

mercoledì 24 ottobre 2012

Tutti gli operatori sono occupati

Sono due settimane che cerco di prenotare questo esame medico.

Ormai è una sfida tra me e la segreteria telefonica dell’ospedale. Ma non demordo, anche se quando chiamo dal cellulare le attese in linea mi consumano rapidamente tutta la ricarica.
 
Questa volta sono a casa e chiamo da un fisso: non è lunedì e l’orario è dalle 11.00 alle 12.30.
 
Ho azzeccato tutte le variabili richieste: ce la posso fare !!

Driin, driin,

- Benvenuti all’Ospedale….
Stiamo sperimentando un nuovo servizio di accoglienza. (Il tono è dolce e molto suadente)

- Per parlare in italiano resti in attesa e selezioni l’opzione desiderata….
For English press one than select your option..
Stessa frase in arabo.

- Se desidera informazioni sul reparto in cui è ricoverato un paziente prema 1
Se desidera contattare telefonicamente un medico prema 2
Se desidera informazioni per prenotazioni e disdette prema 3
Se desidera altre informazioni prema 4

Premo 3

- Per prenotare o modificare una prenotazione prema 1
Per disdire una prenotazione prema 2
Per informazioni sulla prenotazione di prestazioni ambulatoriali con caratteristiche di urgenzaprema 3

Premo 1

Le ricordiamo che per la prenotazione telefonica è indispensabile l’impegnativa del medico di medicina generale.

Driin driin

- Ospedale…… Buongiorno.
- (Evviva un essere umano..) Buongiorno. Dovrei prenotare un esame allergologico per mio figlio.
- Attenda in linea che Le passo l’interno.
- (Nooooo!) Va bene… - (sigh) - grazie.

- Tutti gli operatori sono occupati.
- La vostra chiamata avrà una risposta in base all’ordine di arrivo
- La vostra chiamata è molto importante per noi
- La vostra chiamata è quarta in coda.
Meno male! La volta scorsa ero diciassettesima, e a metà dell’attesa ho buttato giù…

Nell’attesa mettono in ascolto “Eine Kleine Nachtmusik” di Mozart.

- La vostra chiamata è terza in coda
- Eine Kleine Nachtmusik...
 
- La vostra chiamata è seconda in coda
- Eine Kleine Nachtmusik...
 
- La vostra chiamata è prima in coda
- Eine Kleine Nachtmusik...
 
- Pronto…
- Buongiorno, vorrei prenotare un esame allergologico per mio figlio.
- Si la prima data utile è il 10 gennaio

- Sono quasi tre mesi…. Va bene la prendo lo stesso. Senta ma per verificare se ci sono disdette come devo fare? Devo rifare la trafila che ho appena fatto?
- Eh si….

- Ah… ho capito… Ma non è che, per caso, c’è un numero verde?
- No.. ehm… hanno istituito questo nuovo servizio… sono da sola a rispondere e prendo una chiamata dietro l’altra….

- Ho capito (sig)
- (sig)

- Buongiorno
- Buongiorno…


Silvia.

domenica 14 ottobre 2012

Spending Review

Spending Review significa:

<<

Non sprechiamo !

Non disperdiamo le risorse !

Spendiamo solo se necessario !

Diamo le risorse solo a chi se le merita e solo per impieghi utili !

Siamo in una situazione drammatica e ogni euro è prezioso !

>>

Bene, tutto giusto. 
Tutto molto sobrio e morale.
Tutto opportuno, viste le eccezionali cirscostanze.

Allora andiamo a leggere il DL 95/2012 (detto, appunto, della "Spending Review") che indica quali sono, secondo il nostro Governo, i tagli necessari e le (poche) spese autorizzate ai tempi dell'Austerity.

Eccolo qui:


Leggendo leggendo tutto il malloppo, ecco che ci salta all'occhio l' Articolo 23 sexties


che copiamo integralmente:

<<

Art. 23 sexies

Emissione di strumenti finanziari 1.
 


Al fine di conseguire gli obiettivi di rafforzamento patrimoniale previsti in attuazione della raccomandazione della European Banking Authority dell'8 dicembre 2011 il Ministero dell'economia e delle finanze (di seguito il «Ministero»), su specifica richiesta di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (di seguito l'«Emittente») e subordinatamente al verificarsi delle condizioni di cui agli articoli 23-septies, comma 1, 23-octies e 23-novies: 

a) provvede a sottoscrivere, fino al 31 dicembre 2012, anche in deroga alle norme di contabilita' di Stato, strumenti finanziari (di seguito i «Nuovi Strumenti Finanziari»), computabili nel patrimonio di vigilanza (Core Tier 1) come definito dalla raccomandazione EBA dell'8 dicembre 2011, fino all'importo di euro due miliardi;  

b) provvede altresi' a sottoscrivere, entro il medesimo termine, Nuovi Strumenti Finanziari per l'importo ulteriore di euro unmiliardonovecentomilioni al fine dell'integrale sostituzione degli strumenti finanziari emessi dall'Emittente e sottoscritti dal Ministero ai sensi dell'articolo 12 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nel rispetto delle condizioni di remunerazione previste dall'articolo 23-septies, comma 2.

>>

Cioè lo Stato italiano ha deciso di finanziare il Monte dei Paschi di Siena (una banca privata) per un importo che arriva fino a 3,9 miliardi di euro ???

Ho letto bene ?

TRE virgola NOVE miliardi ??

Ma è una manova finanziaria  !

E dove li troviamo questi soldi ?

E perchè è urgente / prioritario / necessario darli al Monte dei Paschi ?

Perchè dobbiamo finanziare una banca PRIVATA con i soldi PUBBLICI ?

E nel mezzo della crisi mentre tagliamo con l'accetta il welfare e i servizi ?

Ma è lo stesso Monte dei Paschi che ha combinato questo casino ?


Ragazzi, qui è ora di dire basta !.

Se la Banca Monte dei Paschi, dopo aver giocato al casinò finanziario con i soldi dei suoi investitori, ora chiede di essere salvata con i soldi nostri... bene, noi cittadini italiani, noi che pieghiamo la testa sotto la scure della Spending Review, dobbiamo ESIGERE - quantomeno - che venga NAZIONALIZZATA e che diventi una Banca di Stato sotto il nostro pieno controllo !

Altrimenti che fallisca, come falliscono le piccole e medie imprese che non ricevono più un euro di credito per andare avanti e lasciano a casa migliaia di disoccupati !

E i top managers della Banca, che vadano a cercarsi un altro lavoro - se ci riescono - oppure imparino a vivere con la pensione minima della Signora Maria !

Ebbene si, sono diventato populista.
E anche molto incazzato !

Sandro.