domenica 29 gennaio 2012

The Age Of Deleveraging

Consiglio a tutti la lettura di questa interessantissima analisi del prof. Steve Keen:


di cui mi limito a riportare solo il seguente grafico che illustra l'andamento del rapporto tra Debito Privato e Prodotto Interno Lordo di USA, UK e Australia






Faccio notare il crollo di questo indicatore per l'economia USA subito dopo la crisi del 1929 e fino al 1945 (fine della Seconda Guerra Mondiale) e anche il secondo punto di massimo raggiunto nel 2008 (inizio della crisi attuale).

Questo grafico dice più di mille parole...

Così come il seguente in cui si osserva l'andamento disaccoppiato del debito privato e del debito pubblico, sempre rispetto al PIL (USA).

Notate la crescita del debito pubblico durante il periodo bellico (1940-1945) e il corrispondente esaurimento del debito privato che, subito dopo la guerra, riprende la sua corsa al rialzo, fino al 2008.



Lo "SPREAD" reale

Lo SPREAD è sempre stato il motore per le riforme di diversi Governi. L'ha detto il presidente della BCE Mario Draghi, intervenendo al recente forum economico mondiale di Davos (vedi qui).

Traduco nel mio solito "linguaggio terra-terra": la finanza mette "paura" ai Governi delle Nazioni e questi allora reagiscono facendo le riforme che si attuano con la facile ricetta dell'aumento delle imposte (es: benzina e gasolio), ricetta che, in Italia ad esempio, grava soprattutto (per non dire solo !) sui soliti noti (lavoratori pubblici salariati, operai, pensionati...), visto anche l'immane buco causato dall'evasione fiscale (nel solo 2010 redditi non dichiarati per 49 miliardi di euro, vedi qui che dubito siano imputabili all'evasione dei lavoratori pubblici salariati, operai, salariati...).

E poi, soprattutto: liberalizzare, liberalizzare, liberalizzare. Attenzione: non sto certamente parlando della sacrosanta esigenza di allargare il parco della fruibilità di alcuni beni e servizi per i cittadini (prodotti farmaceutici, taxi, servizi notarili...), fortemente avversata dalle lobbies dei vari potentati interessati, e sul quale si sta discutendo in Italia da qualche settimana: sto evidentemente parlando del disegno, neanche tanto nascosto, di mettere mano alle "public utilities" o servizi di pubblica utilità pubblici, come discuteva Sandro nell'ultimo post (qui ).

Ormai è un tormentone: sono solo le liberalizzazioni (traduzione: privatizzazioni) dei servizi pubblici che potranno far riprendere l'economia. E, come conseguenza, bisognerà ancor di più tagliare i sistemi pubblici di protezione sociale per i cittadini per trasformarli sempre più, in servizi "privati" di protezione sociale. Servizi che dovranno quindi operare in un'ottica di "fare business" più che per offrire un servizio a tutti i cittadini (sottolineo: a tutti). E questa logica, mi viene da credere, si applicherà un po' a tutte le tematiche, dalla distribuzione dell'acqua, alla salvaguardia della salute, alla scuola, ai trasporti....

Scrive Luciano Gallino, sul già citato libro FinanzCapitalismo a pag. 123: "...per loro natura il finanzcapitalismo e l'ideologia che lo legittima sono fieri nemici dei sistemi pubblici di protezione sociale....La ragione pare evidente. Entro i sistemi stessi a cominciare dalle pensioni e dalla sanità, circolano capitali dell'ordine di "trilioni" di dollari o euro. Se si potesse privatizzarli in misura pressoché totale si aprirebbe un terreno amplissimo per le attività e i profitti di ogni genere di istituzione finanziaria...".

In pratica questo sta già accadendo da tempo: le grandi Organizzazioni internazionali (OCSE, FMI, Commissione Europea) stanno spingendo le loro richieste ai Governi affinché privatizzino di più i servizi di utilità pubblica, motivando tale necessità con la (per altro reale) difficile sostenibilità economica degli stessi.

Sicuramente tali servizi sono molto costosi e gravano sui conti pubblici, però non sembra corretto, come fa notare il Prof. Gallino, utilizzare il tema dei bilanci pubblici come arma contro i servizi pubblici resi ai cittadini, dal momento che la causa reale del problema va ascritta alla politica economica del neoliberilismo e alla fortissima speculazione finanziaria, che ha privilegiato tagliare le imposte ai grandi potentati economici privati piuttosto che, ad esempio, aumentare, o quanto meno salvaguardare, i salari dei lavoratori, salari che da anni non aumentano neppure di un euro. Fenomeno questo che sta accadendo in tutta Europa, non certo solo in Italia, vedi qui, e qui ad esempio.
C'è da chiedersi poi, razionalmente, come possano i cittadini pagare più tasse a fronte di un blocco dei salari. La risposta è evidente: con l'aumento della povertà. In Italia, ad esempio, nell'ultimo anno il numero dei poveri è aumentato di 560mila unità, vedi qui ).

Al contrario di aumentare i salari ai cittadini, negli ultimi anni in Europa, come negli Stati Uniti, le aliquote fiscali sulle imprese sono state pesantemente ridotte, e invece si sono tagliati i servizi pubblici, per proteggere le istituzioni finanziarie. Scrive sempre il Prof. Gallino sul libro citato, pag. 125: "....come primo passo, molti governi hanno deciso che, considerate da un lato le elevatissime spese effettuate per proteggere le istituzioni finanziarie, dall'altro la crescente incidenza dei sistemi pubblici sul PIL, occorreva tagliare come prima cosa le prestazioni erogate da questi ultimi".

Per parlare di casa nostra, in Italia abbiamo assistito in questi ultimi anni ad una progressiva riduzione dei trasferimenti dello Stato agli enti territoriali, che garantiscono i servizi di utilità pubblica ai cittadini, producendo un peggioramento in tantissimi settori: nei trasporti (guarda ad esempio qui), nelle scuole (nidi, asili, guarda qui) dove si rileva una riduzione del 66% negli stanziamenti tra il 2001 e il 2011 (da 259 milioni di euro del 2001 a 87 milioni di euro del 2011 !), una contrazione delle attività culturali, dove si rileva tra il 2010 e il 2011 una contrazione del 14 per cento, vedi qui) , nella manutenzione delle strade...

Chiaramente i tagli ai servici pubblici non causeranno gravi problemi alle classi più abbienti, che potranno sempre usufruire di ottime strutture private per mandare a scuola i loro figli, o per curare i loro malanni. O che non avranno certo il problema dei pendolari...Tali tagli peseranno sulle persone meno abbienti, sulle famiglie mono-reddito sulle quali magari pesa un mutuo per una casa da finire di pagare, a pensionati, a coloro che hanno perso il lavoro. Si potrebbe continuare, la fila è lunga...

A questo punto, mi verrebbe da chiedere al dott. Draghi: non teme che continuando con queste politiche neo-liberiste, con questo finanzcapitalismo senza freni, il reale "spread" che crescerà sarà quello tra ricchi e poveri, piuttosto che quello tra i titoli italiani e quelli tedeschi ?

Non è che anche di questo "spread" si dovrebbero iniziare a preoccupare i Governi europei ? E, allargando lo sguardo, quelli dei ricchi e "decadenti" paesi occidentali ?

Verso quale modello di società stiamo precipitando ?

lunedì 23 gennaio 2012

Imprese (Pubbliche?) (Locali?)

I Servizi Pubblici Locali (SPL) sono gestiti da Imprese che operano in un determinato territorio (un Comune, un gruppo di Comuni, una intera Provincia) erogando servizi di pubblica utilità a tutti i cittadini residenti nel territorio medesimo.

Si tratta di servizi essenziali, necessari, irrinunciabili.

Distribuzione dell'Acqua potabile, distribuzione della Energia elettrica, distribuzione del Gas, raccolta e smaltimento dei Rifiuti.

Sono servizi che rendono abitabile un territorio e consentono ai cittadini di vivere e lavorare in modo ordinato e decoroso.

In mancanza di questi servizi, anche solo per pochi giorni, un territorio precipita  velocemente nel caos.

Le Imprese che gestiscono ed erogano questi servizi essenziali sono quindi Imprese strategiche per l'equilibrio sociale ed economico dell'intero Paese.

Infatti vengono spesso chiamate Imprese di Pubblica Utilità o Public Utilities.

I cittadini del territorio sono gli utenti di queste imprese (stakeholders) e anche  - indirettamente - i soci delle stesse (shareholders) attraverso il controllo esercitato dalle Pubbliche Amministrazioni Locali che detengono le quote societarie.

In ultima analisi il cittadino riceve un servizio essenziale erogato da una Impresa di cui è, indirettamente, socio e proprietario.

Questo però è solo uno dei punto di vista (forse quello che ci interessa di più), ma non è l'unico.

Infatti, le Imprese Pubbliche Locali sono pur sempre delle Imprese e, come tali, possono diventare interessanti per una eventuale strategia di investimento privato, nel caso in cui il settore venisse liberalizzato.

Mi spiego meglio con uno schema:


L'Imprenditore (i soci) e le Banche investitrici costituiscono l'Impresa mediante un Investimento di Capitale.

Il Capitale Investito si compone dei Mezzi Propri (i soldi messi dai soci) 
e dei Mezzi di Terzi (i soldi che i soci prendono in prestito dalle Banche).

Il rapporto tra Capitale Investito e Mezzi Propri viene chiamato "leva finanziaria", o leverage (tra parentesi).

Il Capitale Investito permette di costituire la struttura fisica dell'Impresa: comprare capannoni e macchinari, costruire impianti industriali, acquistare licenze software ecc... insomma tutto quello che serve per rendere possibile la produzione dei beni o l'erogazione dei servizi che costituiscono il "core business".

Alla fine di ogni anno, l'Impresa crea valore per i soci (Reddito Netto), restituisce gli Interessi alle Banche e paga le Tasse allo Stato.

Questo ritorno è reso possibile dal fatto che esiste una differenza (positiva) tra il valore delle merci o dei servizi che l'Impresa vende ai clienti e il valore che riconosce ai fornitori e ai dipendenti per il loro contributo al processo produttivo.

L'Impresa, dunque, può essere tecnicamente definita come una macchina economica creata dal Capitale in grado di generare denaro dal denaro prelevando il valore aggiunto generato dal processo produttivo.

Uno degli indicatori più interessanti di una Impresa (dal punto di vista di chi ci mette i "soldi") è il ROE (Return On Equity) cioè il rapporto tra Reddito Netto e Mezzi Propri (Equity).

Il ROE misura il rendimento percentuale del capitale investito dai soci nell'Impresa e misura la crescita percentualmente del capitale stesso in ogni singolo anno di esercizio.

Un recente studio del settore delle Public Utilities Italiane ha calcolato un ROE medio globale pari al 3,4% che, limitato alle sole aziende multiservizio (quelle cioè che gestiscono contemporaneamente più servizi di tipologia diversa) sale al 5,8% e, limitato ulteriormente alle più grandi società quotate, sale ancora al 7,4%.

Questi numeri rendono queste Imprese davvero molto interessanti agli occhi degli investitori privati sempre in cerca di rendimenti consistenti e a basso rischio.

E' una questione di punti di vista, evidentemente.

domenica 22 gennaio 2012

Il servizio è pubblico, l'interesse privato

  
Dopo la manovra salva-Italia ecco pronta la manovra cresci-Italia.

Della serie: 


ora che ci siamo salvati (per un pelo), se vogliamo rimanere "salvi", dobbiamo riprendere a crescere !

E, per ricominciare a crescere, serve un robusto pacchetto di liberalizzazioni non potendo finanziare la crescita con nuove tasse o, peggio, con nuovo debito.


Qui potete trovare il testo completo del "pacchetto":



del quale, in questa sede, mi limito solo ad evidenziare l'Articolo 26:

Promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali 

che contiene questi due punti, in particolare:

......

2. A decorrere dal 2013, l'applicazione di procedure di affidamento dei servizi a evidenza pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni o degli enti di governo locali dell'ambito o del bacino costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi ai sensi dell'articolo 20, comma 3, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

...
4. Le società affidatarie in house sono assoggettate al patto di stabilità interno secondo le modalità definite dal decreto ministeriale previsto dall'articolo 18, comma 2-bis del decreto legge 25 luglio 2008 n. 112, convertito con legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni.

......

Se intepreto bene lo spirito della norma, il legislatore sta "scoraggiando" gli enti locali a formare società in-house per la gestione dei servizi pubblici locali e quindi favorisce e caldeggia l'affidamento degli stessi servizi (a società private, evidentemente) con procedure di evidenza pubblica.

La filosofia di fondo forse è questa (almeno io l'ho capita così): 

L'Amministrazione pubblica non può (più) investire nei servizi di pubblica utilità quindi deve fare un passo indietro e favorire l'ingresso dei privati che investiranno e gestiranno i servizi per i cittadini (intascandosi i profitti, evidentemente).


Domanda 1

Dove sta scritto, nella legge, che questi "consigli" non si applicano anche al Pubblico Servizio dell'Acqua ? Come la mettiamo con il referendum ?

Domanda 2

Cosa ci garantisce che un pubblico servizio gestito da un privato concessionario sia sicuramente più efficiente di quello erogato da una società in-house a capitale pubblico o misto ?

Domanda 3

Se la qualità del servizio deve rimanere costante (o addirittura migliorare) e a tariffe possibilmente minori, cosa (e come) può una azienda privata trarre profitto dalla erogazione dei pubblici servizi ? E perchè dovrebbe essere interessata a investire ?

Domanda 4

Se l'erogazione di un pubblico servizio, per particolari caratteristiche del territorio servito, può essere garantita solo lavorando in perdita (con costi maggiori dei ricavi) chi garantisce i cittadini di quel territorio che il servizio continuerà ad essere erogato dal soggetto privato e con il livello di qualità richiesto ?

Domanda 5 (retorica)

Parlare di concorrenza nei servizi pubblici non è un ossimoro ?

lunedì 16 gennaio 2012

Sul lavoro non si specula (più)


Ieri sera ho visto un film che consiglio agli amici di Piazzaverdi.

Il film è "L'industriale", regia di Giuliano Montaldo.

E' la storia di un giovane industriale alla guida di una piccola azienda che produce pannelli fotovoltaici di tecnologia innovativa, ereditata dal padre, meridionale emigrato al Nord e che ha creato dal nulla quell'azienda, con il solo bagaglio della sua creatività. L'azienda ora si trova in una crisi gravissima, praticamente ha pochi mesi di vita, non ci sono più soldi per pagare gli stipendi, non si vede un futuro.

Il giovane imprenditore però non vuole chiudere, non vuole mandare a casa i "suoi" operai, e allora va a chiedere aiuto alla Banca, convinto che le Banche servano, o dovrebbero servire, "anche" per dare crediti alle imprese in difficoltà, e per dare stimolo allo sviluppo.

E la sua impresa dà lavoro a 70 famiglie, da tanti anni. Tanti anni in cui ha creato sviluppo, innovazione, fatto "crescere" il paese.
Ma il Capo della Banca il credito invece non glielo concede, sostenendo la mancanza di garanzie sufficienti. Il Curriculum dell'azienda non conta, il fatto che sia capace di "innovare" non conta, men che meno che ci possano essere famiglie che finiscono in mezzo ad una strada.

Non serve andare oltre nel racconto, anche per rispetto di quelli che andranno a vedere il film, però ripensando a questa storia non ho potuto non associarla alla notizia di ieri del declassamento dell'Italia e di altri paesi europei, ad opera dell'agenzia di rating Standard & Poor's.

Mi è venuto in testa questo pensiero:

a) da un lato abbiamo un sistema bancario che non dà più "ossigeno" alle imprese (qualcuno mi sa spiegare dove hanno messo le banche i 500 miliardi di euro che la BCE ha sganciato loro all'1% di interesse ? Il "popolo" mica l'ha capito !), preferisce farle morire, impedendo quindi la "Crescita" e lo Sviluppo,

b) dall'altro i portavoci del mondo della finanza declassano i paesi anche perchè non garantiscono, con le loro "politiche", esattamente quella Crescita che ritengono necessaria.

Cioè: da una parte si predica di Crescita come strumento necessario per dare fiducia ai mercati, dall'altro si agisce perchè questa Crescita non si crei.
Ma allora io faccio fatica a capire...
Come fa a far crescere un Paese se non si "finanzia" il lavoro e l'innovazione ?

Non sarà invece che le Banche non danno più credito alle imprese perchè in realtà preferiscono altri metodi per fare profitti ? Metodi molto meno rischiosi ? Non sarà che la produzione di beni attraverso il lavoro, fulcro dell'economia reale, non è più interessante per il "mercato" finanziario ?


In realtà, per il "mercato", i "soldi" si fanno molto meglio con lo strumento della speculazione, piuttosto che alimentando il lavoro. 

Date queste premesse, temo che le manovre economiche dei Paesi (in Italia abbiamo visto ben quattro manovre negli ultimi 12 mesi) servano solo per traghettare dei soldi ai finanzieri senza alcuno sforzo (per loro, non certo per i cittadini che si dissanguano per soddisfare la loro fame inesauribile...), non certo per far crescere i paesi stessi (credo che l'analisi del dott. Fitoussi, leggi ad esempio qui, sia totalmente condivisibile).


Non sarebbe ora di cambiare rotta ?

sabato 14 gennaio 2012

Cronologia dello spread



Ogni giorno riceviamo un enorme numero di informazioni, notizie, immagini, video che riguardano le ultime 24 ore e, in molti casi, gli ultimi 5 minuti.

Siamo bombardati dall'oggi, dall'ultim'ora, dall'ultimo minuto e ci facciamo una idea del mondo ragionando solo sull'ultima "fotografia" scattata.

Il tempo a nostra disposizione è molto poco per assorbire l'enorme massa di informazioni ricevute e a malapena riusciamo a leggere qualche frammento della gigantesca "fotografia" che ci viene consegnata ogni giorno.

Ogni tanto, però, è istruttivo cambiare prospettiva e "leggere" i fatti del mondo collocandoli sull'asse dei tempi, osservare un fenomeno nella sua dinamica temporale, nella sua evoluzione, anche di breve periodo.

Ho provato quindi a fare il seguente esercizio:

Cercare la frase "spread btp-bund" sul sito del sole 24 ore partendo da maggio 2011 e proseguendo in avanti, un mese alla volta, fino a gennaio 2012 (oggi).

E' semplice, basta impostare questa ricerca sulla casella di ricerca di google

 
E poi fissare un preciso intervallo temporale, in basso a sinistra, nel modo seguente:


Ecco cosa ho trovato ripetendo la ricerca a intervalli regolari, un mese alla volta.


MAGGIO 2011



GIUGNO 2011


LUGLIO 2011



AGOSTO 2011



SETTEMBRE 2011



OTTOBRE 2011



NOVEMBRE 2011



DICEMBRE 2011



GENNAIO 2012



Buona lettura !

domenica 8 gennaio 2012

Mutuo soccorso (tra banche)



Qualcuno è in grado di spiegarmi quale sia la logica dei seguenti fatti ?

1. La BCE apre i rubinetti del credito alle banche europee e concede prestiti triennali illimitati al tasso di interesse del 1% (LTRO: Long Term Refinancing Operation)



2. Le Banche mettono al sicuro i propri "risparmi" presso la BCE (depositi overnight) e non investono (o investono troppo poco) nell'economia reale




Cioè: 

- la BCE presta soldi alle Banche (a condizioni super-vantaggiose) ma non può - per statuto - prestare soldi agli Stati che devono quindi rimanere strozzati sull'altare del mercato

- le Banche, a loro volta, preferiscono depositare i propri soldi presso la BCE per evitare investimenti a maggior "rischio" (come l'acquisto dei titoli di stato)

In soldoni: 

le Banche vengono salvate e si mettono al sicuro mentre gli Stati vengono lasciati al loro destino.

Ma qual'è il ruolo delle Banche ?

Se le Banche devono essere continuamente "salvate" da entità istituzionali (come è, almeno sulla carta, la BCE) perchè le Banche continuano ad essere soggetti privati e indipendenti ?

Come mai tutti questi soldi vengono accantonati, messi al sicuro, e non investiti ?

Si aspettano tempi migliori a scapito di famiglie e imprese ormai al collasso ?

E' in grado, il sistema bancario spalleggiato dalla BCE, di tirarci fuori dalla crisi che esso stesso ha determinato ?

mercoledì 4 gennaio 2012

Dall'utilità al benessere



Nel suo monumentale trattato intitolato The Entropy Law And The Economic Process, Nicholas Georgescu Roegen mette in discussione e rifomula, generalizzandoli, alcuni assiomi fondamentali della scuola economica neoclassica.

Secondo la scuola neoclassica, l'individuo è un consumatore razionale che cerca di massimizzare la sua funzione di utilità scegliendo un particolare paniere di beni e servizi tra tutti i possibili panieri offerti dal mercato.

L'utilità del consumatore è rappresentata, quindi, nel modo seguente:

U = U(Q1, Q2, ..., Qn)

Dove U è l'utilità e Q1, Q2, ... Qn sono le quantità dei beni 1, 2, ... n che formano il paniere di consumo scelto.

L'individuo è dunque un agente razionale che si muove nello spazio di tutti i possibili panieri di consumo alla ricerca del punto che rende massima la sua funzione di utilità.

Il consumatore è ovviamente libero di scegliere quali beni consumare e in quali quantità e tale scelta influisce in modo deterministico sulla sua utilità personale.

Nel suo modello invece, Georgescu Roegen non prende le mosse dal concetto di utilità ma dalla gioia di vivere, dal benessere, indicato come obiettivo generale del processo economico e obiettivo individuale del singolo agente.

E il benessere individuale (B) viene rappresentato con la seguente espressione:

B = Bc + ( 1 - L )Bt - LS

dove:

Bc è il grado o intensità di "benessere" ottenuto attraverso il consumo dei beni e dei servizi offerti dal mercato (la componente neoclassica delle utilità individuale);

Bt è il grado o intensità di "benessere" ottenuto dal godimento del proprio tempo libero;

S è lo "stress" (o benessere negativo) generato dalla attività lavorativa.

L è la percentuale di tempo giornaliero dedicato al lavoro ed, ovviamente, è un numero compreso tra 0 e 1.

( 1 - L ) è, evidentemente la percentuale di tempo libero giornaliero.

Ogni persona ha i suoi propri valori per Bc, Bt, S cioè assegna maggiore o minore importanza ai consumi oppure alle attività svolte nel tempo libero e può accusare uno stress lavorativo maggiore o minore anche (e soprattutto) in funzione del tipo di lavoro svolto.

Ne consegue che ogni persona ha una sua propria funzione di benessere che, una volta fissati i valori dei parametri  Bc, Bt ed S, dipende solo dalla variabile L cioè dalla percentuale del tempo giornaliero dedicato al lavoro.

le curve B = B(L), disegnate sul piano cartesiano ortogonale B-L, sono delle rette a pendenza negativa e le rappresentiamo in rosso nel seguente diagramma:

 
Vediamo come si comportano queste curve nei due punti estremi L = 0 ed L = 1.

Se L = 0 significa che l'individuo non lavora (evidentemente perchè dispone di una rendita o perchè è in pensione).

In questo caso abbiamo:

B = Bc + Bt

cioè il suo benessere è totalmente determinato dalla intensità di benessere associato ai consumi e dalla intensità di benessere ottenuto dal godimento del proprio tempo libero (per attività diverse dal consumo, evidentemente).

Una condizione, diciamo, "ideale".

Se L = 1, invece, l'individuo dedica tutta la sua giornata al lavoro rinunciando totalmente al tempo libero.

In questo secondo caso avremo:

B = Bc - S

che fornisce un valore positivo di benessere solo nel caso in cui il termine Bc sia maggiore di S cioè il benessere generato dalla attività di consumo è maggiore dello stress provocato dal lavoro.

In questo secondo caso limite possiamo dire che solo un "super-benessere" consumistico può compensare lo stress da super-lavoro.

In tutte le situazioni intermedie (e normali) la percentuale di tempo giornaliero dedicata al lavoro sarà sicuramente un valore compreso tra 0 ed 1 e la curva del benessere intersecherà l'asse L in corripondenza di un valore Lmax che rappresenta la quantità massima di lavoro oltre la quale il benessere individuale diventa negativo.

Risolvendo la semplice equazione B(L) = 0 otteniamo il valore di Lmax:

Lmax = ( Bt + Bc ) / ( Bt + S )

che è molto interessante perchè esprime in modo sintetico qualcosa che ognuno di noi "sente" a livello intuitivo:

- se faccio un lavoro molto gratificante (e quindi poco stressante) vuol dire che S è molto basso, quindi il denominatore della frazione diminuisce ed aumenta Lmax cioè tenderò a sacrificare la maggior parte del mio tempo libero per lavorare di più e poi godermi un po' di "sano" consumismo

- se invece faccio un lavoro molto stressante (S alto) e, allo stesso tempo, sono poco gratificato dai consumi (Bc basso) il denominatore della frazione Lmax tenderà a crescere mentre il numeratore cala tendendo a far diminuire il tempo dedicato al lavoro fino ad un punto minimo al di sotto del quale non posso scendere pena la mancanza di sopravvivenza.

Vale infine questa ultima considerazione:

la società creata dal sistema turbo-capitalistico governato dal potere della finanza speculativa ha cercato in tutti i modi (con la pubblicità in particolare) di affermare l'equazione neoclassica benessere = consumo enfatizzando al massimo il fattore Bc nella equazione di Roegen.

Per questo motivo le persone si sentono felici solo quando acquistano i beni e i servizi offerti dal "mercato" e quindi sono disposte a lavorare sempre di più perchè comunque gratificate dall'elevatissimo livello di consumo che agisce come una sorta di "anestetico" sociale, come il nuovo oppio dei popoli.

In questo modo l'economia gira più velocemente, il capitale viene remunerato più in fretta e tutti noi siamo inconsapevolmente e "serenamente" al servizio del sistema.

Negli stessi anni in cui Roegen scriveva queste cose (1971) un'altra grandissima voce si alzava nel deserto per cercare di aprirci gli occhi... ma, evidentemente, non l'abbiamo ascoltata abbastanza.



lunedì 2 gennaio 2012

Manifesto per una economia umana

  
Manifesto redatto da Nicholas Georgescu-Roegen, Kenneth Boulding e Herman Daly a Nyach (Stato di New York) nel 1973.


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Nel corso della sua evoluzione la casa comune, il pianeta Terra, si avvicina ad una crisi dal cui superamento dipende la sopravvivenza dell'uomo, crisi la cui portata appare esaminando l'aumento della popolazione, l'incontrollata crescita industriale e il deterioramento ambientale con le conseguenti minacce di carestie, di guerra e di un collasso biologico.

L'attuale tendenza nell'evoluzione del pianeta non dipende soltanto da leggi inesorabili della natura, ma e' una conseguenza delle deliberate azioni esercitate dall'uomo sulla natura stessa. 

L'uomo ha deciso, nel corso della storia, il suo destino attraverso decisioni di cui e' responsabile; ha cambiato il corso del suo destino con altre deliberate decisioni, attuate con la sua volonta'. A questo punto deve cominciare ad elaborare una nuova visione del mondo.

Come economisti abbiamo il compito di descrivere e analizzare i processi economici così come li osserviamo nella realtà. Peraltro nel corso degli ultimi due secoli gli economisti sono stati portati sempre più spesso non solo a misurare, analizzare e teorizzare la realtà economica, ma anche a consigliare, pianificare e prendere parte attiva nelle decisioni politiche: il potere e quindi la responsabilità degli economisti sono perciò diventati grandissimi.

Nel passato la produzione di merci è stata considerata un fatto positivo e solo di recente sono apparsi evidenti i costi che essa comporta. La produzione sottrae materie prime ed energia dalle loro riserve naturali di dimensioni finite; i rifiuti dei processi invadono il nostro ecosistema, la cui capacità di ricevere e assimilare tali rifiuti è anch'essa finita.

La crescita ha rappresentato finora per gli economisti l'indice con cui misurare il benessere nazionale e sociale, ma ora appare che l'aumento dell'industrializzazione in zone già congestionate puo' continuare soltanto per poco: l'attuale aumento della produzione compromette la possibilità di produrre in futuro e ha luogo a spese dell'ambiente naturale che è delicato e sempre più in pericolo.

La costatazione che il sistema in cui viviamo ha dimensioni finite e che i consumi di energia comportano costi crescenti impone delle decisioni morali nelle varie fasi del processo economico, nella pianificazione, nello sviluppo e nella produzione. 

Che fare ? 

Quali sono gli effettivi costi, a lungo termine, della produzione di merci e chi finira' per pagarli ? 

Che cosa è veramente nell'interesse non solo attuale dell'uomo, ma nell'interesse dell'uomo come specie vivente destinata a continuare ?

La chiara formulazione, secondo il punto di vista dell'economista, delle alternative possibili è un compito non soltanto analitico, ma etico e gli economisti devono accettare le implicazioni etiche del loro lavoro. 

Noi invitiamo i colleghi economisti ad assumere un loro ruolo nella gestione del nostro pianeta e ad unirsi, per assicurare la sopravvivenza umana, agli sforzi degli altri scienziati e pianificatori, anzi di tutte le donne e gli uomini che operano in qualsiasi campo del pensiero e del lavoro.  

La scienza dell'economia, come altri settori di indagine che si propongono la precisione e l'obiettivita', ha avuto la tendenza, nell'ultimo secolo, ad isolarsi gradualmente dagli altri campi, ma oggi non è più possibile che gli economisti lavorino isolati con qualache speranza di successo.

Dobbiamo inventare una nuova economia il cui scopo sia la gestione delle risorse e il controllo razionale del progresso e delle applicazioni della tecnica, per servire i reali bisogni umani, invece che l'aumento dei profitti o del prestigio nazionale o le crudelta' della guerra. 

Dobbiamo elaborare una economia della sopravvivenza, anzi della speranza, la teoria di un'economia globale basata sulla giustizia, che consenta l'equa distribuzione delle ricchezze della Terra fra i suoi abitanti, attuali e futuri. E' ormai evidente che non possiamo più considerare le economia nazionali come separate, isolate dal più vasto sistema globale.

Come economisti, oltre a misurare e descrivere le complesse interrelazioni fra grandezze economiche, possiamo indicare delle nuove priorità che superino gli stretti interessi delle sovranità nazionali e che servano invece gli interessi della comunità mondiale. 

Dobbiamo sostituire all'ideale della crescita, che e' servito come surrogato della giusta distribuzione del benessere, una visione più umana in cui produzione e consumo siano subordinati ai fini della sopravvivenza e della giustizia.

Attualmente una minoranza della popolazione della Terra dispone della maggior parte delle risorse naturali e della produzione mondiale. Le economie industriali devono collaborare con le economie in via di sviluppo per correggere gli squilibri rinunciando alla concorrenza ideologica o imperialista e allo sfruttamento dei popoli che dicono di voler aiutare. 

Per realizzare una giusta distribuzione del benessere nel mondo, i popoli dei paesi industrializzati devono abbandnare quello che oggi sembra un diritto irrinunciabile, cioe' l'uso incontrollato delle risorse naturali, e noi economisti abbiamo la responsabilità di orientare i valori umani verso questo fine. Le situazioni storiche o geografiche non possono essere piu' invocate come giustificazione dell'ingiustizia.

Gli economisti hanno quindi di fronte un compito nuovo e difficile. Molti guardano alle attuali tendenze di aumento della popolazione, di impoverimento delle risorse naturali, di aumento delle tensioni sociali, e si scoraggiano. Noi dobbiamo rifiutare questa posizione e abbiamo l'obbligo morale di elaborare una nuova visione del mondo, di tracciare la strada verso la sopravvivenza anche se il territorio da attraversare e' pieno di trappole e di ostacoli.

Attualmente l'uomo possiede le risorse economiche e tecnologiche non solo per salvare se stesso per il futuro, ma anche per realizzare, per se e per tutti i suoi discendenti, un mondo in cui sia possibile vivere con dignità, speranza e benessere.

Per ottenere questo scopo deve pero' prendere delle decisioni e subito. 

Noi invitiamo i nostri colleghi economisti a collaborare perchè lo sviluppo corrisponda ai reali bisogni dell'uomo: saremo forse divisi nei particolari del metodo da seguire e delle politiche da adottare, ma dobbiamo essere uniti nel desiderio di raggiungere l'obiettivo della sopravvivenza e della giustizia.

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