giovedì 12 dicembre 2013

Stranieri si diventa


Come sempre sono di corsa. 

Entro al volo nel negozietto di alimentari sotto casa (quello che ha di tutto). Ormai da circa sei/sette anni è gestito da ragazzi pakistani.

Prima c’erano una coppia di anziani bolognesi che probabilmente lo gestivano già da almeno una ventina d’anni. A Natale potevo ordinare i tortellini, perché li faceva direttamente la proprietaria, con il risentimento del marito che sosteneva che lei metteva troppo prosciutto crudo, di quello buono…

Nessuno voleva acquistare il negozio, poi ad un certo punto ci hanno detto che erano riusciti a vendere ad un gruppo di ragazzi pakistani.

Che strano… moltissimi negozi di alimentari della città sono rilevati (forse) e sicuramente gestiti da persone pakistane. Come mai ? C’è qualche autorità che sta indagando che tutto sia regolare? Sono domande che uno si pone ma alle quali non sa dare risposta. Pensi e ti auguri di sì e cerchi di comprendere e di assimilare il cambiamento.
 
All’inizio c’era molta diffidenza nella clientela, ma i nuovi ragazzi , sorella e fratello,  avevano un atteggiamento molto accogliente. Lui parlava anche in dialetto bolognese, così il cambiamento era stato nel tempo facilmente digerito.

Dopo circa due, tre anni ecco un nuovo improvviso cambiamento. I due fratelli spariscono (dicono che lui è andato a lavorare in fabbrica) e sono sostituiti da altri ragazzi, Questa volta più chiusi. In particolare uno dei due ha uno sguardo scuro e parla a monosillabi anche se è bravissimo e comprende piuttosto bene l’italiano.

Progressivamente arrivano altri ragazzi. All’inizio l’italiano è stentato, per cui devi pronunciare lentamente (prosciuuuuttoooo cooottooo) – capiranno davvero meglio così ? - e indicare con i gesti. Poi anche per loro l’italiano diventa più familiare. Un terzo ragazzo è enorme, incute un po’ di soggezione. Invece è molto sorridente e accogliente.

Ogni tanto faccio qualche domanda per capire, per conoscere. “Tornate mai in Pakistan?” “Quanto dura il viaggio” “Che tempo fa da voi ora?”. Mi sembrano frasi di almeno apparente contatto ed umanità con persone che sono distanti dai loro familiari: così sembra di essere un po’ meno estranei gli uni agli altri.
 
Due mesi fa il nuovo cambiamento. “Non vedo più tuo fratello..”. “Ha aperto un nuovo negozio in un altro quartiere”.  Anche lui via quindi…. Avvicendamenti rapidi e continui di un mondo in costante trasformazione.

Entro di corsa appunto e dentro il negozio ci sono già due clienti: un uomo di mezza età e una donna più anziana. Stanno facendo una strana alleanza verbale contro il ragazzo pakistano.
 
“Che lingua parlate voi? Arabo?”.
“No parliamo urdu una lingua come indiano”.
“Ah indiano ? Allora vi va bene perché i cinesi e gli indiani diventeranno i più ricchi del mondo...”.

L’uomo guarda il  ragazzo pakistano, la signora e poi me a cercare consenso.
La signora replica  “eccome se gli va bene a loro ! non vedi che aprono sempre nuovi negozi”. L’uomo: “sì tra un po’ ce ne dobbiamo andare via noi… vero? Noi gli facciamo fare tutto qui… invece se noi andiamo da loro ci  tagliano la gola”. Ridono.

Non resisto, guardo il ragazzo pakistano e gli faccio l’occhiolino come per dire “non badarli è uno scherzo…”. Ma non mi sento bene.

Per fortuna escono. Mi rilasso.
Lo guardo, mi fa il solito sorriso come a dire “va tutto bene”.

Ma sento che qualcosa non va bene.
Anche se non mi è chiaro a partire da quale punto della storia delle migrazioni mi perdo.
Anche se non  mi è chiaro perché di fronte ad uno “straniero” scattano così facilmente tante ostilità, tanto sarcasmo, tanti facili pregiudizi.

Faccio la spesa e ci salutiamo con il nostro consueto “ciao”.

Penso a  mio figlio di 11 anni e ai suoi compagni di classe, sempre classi miste e al fatto che non li ho mai sentiti deridere un compagno per il colore della pelle. Il futuro si è già abituato alla novità.
 
I nostri stereotipi, i nostri pregiudizi derivano da fattori culturali appresi e dal fatto che il nostro sistema di riferimento mentale è sprovvisto di ancoraggi, perché è cresciuto in assenza di queste differenze. E’ come se, una volta cresciuti,  non le sapessimo più cogliere e integrare.
 
Ce lo  dimostrano i recenti studi sulle neuroscienze riportate da Eva Perasso sul Corriere salute del 19 ottobre  2012.

“Non nasciamo razzisti, né lo diventiamo nei nostri primi anni di vita. Anzi, da piccoli, davanti a persone dal colore della pelle diverso dal nostro, non abbiamo alcun sussulto, emozionale o razionale, e tantomeno avvertiamo paura, timore, rabbia o aggressività. A dimostrare che il razzismo non è nella nostra natura infantile, ha lavorato un team di ricercatori in neuroscienze della University of California, sede di Los Angeles: come è accaduto in passato per studi di questo genere, ha usato lo strumento della risonanza magnetica per verificare quali cambiamenti intervenivano nell’area cerebrale di chi si è sottoposto al test. Questa ricerca si inserisce nel dibattito, molto acceso e datato, sulle origini del razzismo che negli anni ha visto confrontarsi almeno due teorie opposte: la prima che legava questo sentimento alla socializzazione, la seconda che invece tendeva a mostrare come la xenofobia sia innata in ognuno di noi.

BAMBINI DEL MONDO – E proprio a convertire questo secondo pensiero – che il razzismo sia dentro di noi – arriva la ricerca di Eva Telzer e di 3 colleghi della Ucla, appena pubblicata sul Journal of Cognitive Neuroscience. L’analisi ha riguardato 32 bambini americani, tra i 4 e i 16 anni di età. Tra loro variavano le origini razziali: ve ne erano con antenati europei, asiatici, africani. I giovani sono stati sottoposti a imaging a risonanza magnetica (MRI) nel momento in cui visionavano un catalogo fotografico, composto da immagini di persone dal colore della pelle uguale e poi differente dal loro.

NESSUN SUSSULTO – Davanti alle foto di persone diverse da sé, i bambini non hanno mostrato attività cerebrali diverse rispetto al normale. E questo è avvenuto per tutti i bambini, fino all’età dei 14 anni. In particolare, è stato analizzato il comportamento dell’amigdala, quell’area del cervello che fa da centro di integrazione ai processi neurologici superiori come le emozioni, per esempio regolando la paura. Nei casi analizzati dai ricercatori americani, questa parte cerebrale non subiva modifiche. Mentre in passato, altre ricerche sulla popolazione adulta avevano mostrato come i pazienti sottoposti a risonanza magnetica avessero sussulti e modifiche percettibili della stessa amigdala, motivo che aveva spinto a collegare il sentimento xenofobo alle proprie innate peculiarità personali.

DOPO I 14 – Dalla ricerca emergono comunque due dati interessanti: il primo è che dopo i 14 anni di età, invece, proprio come è avvenuto nelle ricerche passate sulla popolazione adulta, qualche variazione della amigdala esiste davanti al «diverso da sé», e la seconda è che, da questa età in avanti, cambiano completamente le reazioni a seconda della propria origine razziale e geografica. Infatti, i giovani che provenivano da famiglie miste, o con antenati di altre etnie, non mostravano alcun segno di razzismo (inteso proprio come il riconoscere qualcosa di altro da sé), mentre per chi proveniva da una razza precisa, senza incroci con etnie di altri Paesi, il vedere foto anche di persone dalle stesse origini causava un sentimento o un’emozione registrata dalla amigdala.”

Silvia.

sabato 7 dicembre 2013

La crisi oltre la crisi ?



La crisi che stiamo ancora attraversando e dalla quale non sappiamo ancora come uscire si può riassumere, alla fine, in poche righe:

Nel 2008 è scoppiata una gigantesca bolla speculativa prodotta dalla finanza privata senza controllo (ricordate i mutui "subprime" e il crack Lehman ?) e le banche americane (prima) ed europee (poi) sono entrate in grave sofferenza ed hanno semplicemente smesso di far circolare il credito.

L'improvvisa mancanza di credito - come una specie di infarto economico - ha tolto ossigeno all'economia reale che ha iniziato a regredire generando disoccupazione, crollo dei consumi, fallimenti aziendali e (quindi) nuova disoccupazione in una spirale senza fine.

A partire dal 2011, grazie all'impazzimento (non casuale) degli spreads, le banche in sofferenza hanno iniziato a ricapitalizzarsi facendo carry trade sui titoli di stato ad alto rendimento lasciando a secco famiglie e imprese allo sbando.

Quindi, il settore pubblico sta - di fatto - salvando le banche (private) imponendo ai cittadini il supplizio della austerità dopo aver consentito alle banche stesse - nel decennio precedente - di agire indisturbate e senza controlli iniettando titoli tossici nel mercato finanziario e generando bolle speculative di debito privato che alla fine sono semplicemente scoppiate addosso alla gente.

Ora, forse, questa ricapitalizzazione accelerata volge al termine e le banche riprenderanno lentamente a fornire ossigeno al sistema produttivo e ai consumi.

Ma, abbiamo imparato la lezione ?
La crisi che stiamo attraversando ha un solo elemento positivo: rende plasticamente evidente il fatto che - senza regole e limiti imposti dalla Politica - il sistema finanziario, lasciato libero di evolversi senza regole e senza limiti, genera instabilità e produce solo disastri.

 
Come è possibile ?

Minsky e Einaudi ci possono aiutare a capire come abbiamo scritto in altri post:

 
Meccanica (ir)razionale dei mercati e necessità di un Regolatore Sovrano

Quante altre volte ancora dovremo rivivere questo incubo prima di cambiare le regole del gioco ?

E oltre la crisi c'è solo la prossima crisi ?


Sandro

mercoledì 4 dicembre 2013

Di chi è la "nostra" Banca Centrale ?


Spiegatemi questa cosa, se ci riuscite.

Che senso ha ?

Cui prodest ?

Stiamo parlando della "nostra" Banca Centrale... (!!)

...

Dal Decreto Legge n.133/2013

<<

Art. 4

Capitale della Banca d'Italia

  1. La Banca d'Italia, istituto di diritto  pubblico,  e'  la  banca centrale della Repubblica italiana, e' parte integrante  del  Sistema Europeo di Banche Centrali ed e' autorita' nazionale  competente  nel meccanismo di vigilanza unico di cui all'articolo 6  del  Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013. E'  indipendente nell'esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze.


  2. La  Banca  d'Italia  e'  autorizzata  ad  aumentare  il  proprio capitale mediante utilizzo delle riserve  statutarie  all'importo  di euro  7.500.000.000;  a   seguito   dell'aumento   il   capitale   e' rappresentato da quote nominative di partecipazione  di  euro  20.000 ciascuna.


  3.  Ai  partecipanti  possono  essere  distribuiti   esclusivamente dividendi annuali, a valere sugli utili netti,  per  un  importo  non superiore al 6 per cento del capitale.


  4. Le quote  di  partecipazione  al  capitale  possono  appartenere solamente a:


    a) banche aventi sede legale in Italia ovvero aventi sede  legale e amministrazione centrale in uno Stato  membro  dell'Unione  europea diverso dall'Italia;


    b) imprese di assicurazione  e  di  riassicurazione  aventi  sede legale in Italia ovvero aventi sede legale e amministrazione centrale in uno Stato membro dell'Unione europea diverso dall'Italia;


    c) fondazioni di cui all'articolo 27 del decreto  legislativo  17 maggio 1999, n. 153;


    d) enti ed istituti di previdenza ed  assicurazione  aventi  sede legale in Italia, fondi pensione istituiti ai sensi dell'articolo  4, comma 1 del decreto legislativo 5 dicembre  2005,  n.  252,  e  fondi pensione di cui all'articolo 15-ter del citato decreto legislativo n. 252, del 2005, aventi soggettivita' giuridica.


  5.  Ciascun  partecipante  non  puo'  possedere,   direttamente   o indirettamente, una quota del capitale superiore al 5 per cento.  Per le quote possedute in eccesso non spetta il  diritto  di  voto  ed  i relativi dividendi sono imputati alle riserve statutarie della  Banca d'Italia.


  6. La Banca d'Italia, al fine di favorire il rispetto dei limiti di partecipazione  al   proprio  capitale  fissati  al  comma   5,   puo' acquistare temporaneamente  le  proprie  quote  di  partecipazione  e stipulare contratti aventi ad oggetto le  medesime.  Tali  operazioni sono autorizzate dal Consiglio Superiore con il parere favorevole del Collegio Sindacale ed effettuate con  i  soggetti  appartenenti  alle categorie di cui  al  comma  4,  con  modalita'  tali  da  assicurare trasparenza e  parita'  di  trattamento.  Per  il  periodo  di  tempo limitato in cui le quote restano  nella  disponibilita'  della  Banca d'Italia, il relativo diritto di voto e' sospeso e i  dividendi  sono imputati alle riserve statutarie della Banca d'Italia. 


>>


sabato 23 novembre 2013

Nonna Annarella racconta


Cari nipoti,

visto che me lo avete chiesto con tanta insistenza ed entusiamo, vi racconterò un po' della mia lunga vita.

Sono nata nel 1931 in una frazione di un bel paese delle Marche.

Ero l'ultima di quattro figli con due sorelle e un fratello.

Ero la più piccola della famiglia e, per questo, molto amata da tutti.

Ora i miei cari non ci sono più.

Avevamo un negozio che vendeva un po' di tutto (mercerie, bar, tabaccheria, benzina, ecc..) un po' come un moderno supermercato ma molto più piccolo e semplice.

C'era tanto lavoro per tutti, anche per me che ero la più piccola.

Però io ero sempre felice e giocavo anche molto. Con che cosa ?

Con tutto ! Sassi, legni, terra. 
E proprio con la terra mi divertivo un mondo.

Con gli amici, e ne avevo tanti, pensate, facevamo di tutto.

Quando si avvicinava il Natale, per esempio, costruivamo tutti assieme, con la creta, tutti i personaggi del presepe. Ora vi dirò come facevamo.

Di fronte alla mia casa, c'era (e c'è ancora), un bel santuario mariano con un viale alberato pieno di fiori. In fondo a questo viale c'era una grande pietra che era il nostro tavolo di lavoro.

Si impastava con l'acqua la terra che diventava levigata come il pongo di oggi. Tutti seduti in terra ci dividevamo il lavoro: chi faceva i pastori, chi le portatrice di acqua, chi le capanne, chi le case....

Avevamo costruito quasi tutto e il Natale era alle porte. Ci mancava solo il "bambinello" ma nessuno lo voleva costruire perchè aveva paura di non farlo bene.

Allora, mia madre, è intervenuta per farci felici e è andata a comprarlo in paese.

Fatto eccezionale ! Perchè a quel tempo non si spendeva denaro se non per le cose indispensabili. Ma mamma aveva capito tutto.

Avevo solo cinque anni ed ero la "maestra" del gruppo.

Si, proprio la "maestra". Perchè da piccola io sapevo - e lo sapevano tutti gli amici - che da grande sarei diventata una vera maestra. E così è stato.

In quegli anni andavo all'asilo delle suore e dovevo percorrere, assieme alle mie sorelle maggiori che andavano alle elementari, quasi due kilometri di strada a piedi. Tutti i giorni. Anche con il freddo pungente e con la neve.

Io però ero felice di stare in compagnia con gli amici più grandi e trotterellavo portando il mio cestino spesso pieno di dolcetti per gli amici. Li prendevo in negozio e la mamma mi diceva: "ne mangi già tanti tu, ne porti anche agli amici ? andiamo bene !!".

Però mi lasciava fare.

La scuola elementare, fino alla terza classe, l'ho frequentata in una "pluriclasse" di campagna.

Andavo a scuola con un gruppo di amiche e...si cantava, si correva, si bisticciava (anche spesso) perchè i bambini sono sempre uguali, in ogni luogo e in ogni tempo: vogliono sempre giocare !

Ricordo bene la gita che abbiamo fatto tutti assieme con la maestra della scuola di campagna, fino al paese, per ascoltare il discorso di Mussolini alla radio !

Arrivati in piazza, tutti in divisa di "piccoli italiani", abbiamo sentito una forte voce che diceva: "Italiani, il giorno tanto atteso è arrivato !..."

Tutti con gli occhi fissi al balcone da dove proveniva la voce, credevamo di vedere uscire Benito Mussolini da una "scatola" piuttosto grande, che invece era la Radio Balilla !

Non avevamo mai visto nè sentito una cosa così strana !!

Cari nipoti, la vita allora era molto diversa da quella di oggi.

Pensate, in tantissime case, non c'era ancora la luce elettrica.

Le scuole medie le ho frequentate nella città più vicina perchè nel paese gli studi si completavano in quinta elementare. E non tutti arrivavano a prendere il tanto desiderato diploma di quinta !

Io sono stata fortunata perchè il mio maestro ha convinto i miei genitori a mandarmi fuori di casa per studiare e mi misero in "pensione" presso una famiglia di anziani signori.

Piangevo sempre per la nostalgia della mia casa, sempre piena di persone !

E riconoscevo i passi del cavallo di mio padre quando io ero a scuola, a lezione, e lui passava nella strada sottostante per le sue attività commerciali.

Allora c'era la guerra !

E spesso c'erano i bombardamenti. Tanto che gli esami di terza media li abbiamo dati in piazza sotto una tenda.

La guerra... che brutta cosa !

Ho visto con i miei occhi tanti soldati tedeschi in ritirata, stanchi, affamati, in sella a delle biciclette mezze rotte o a cavallo, che percorrevano lunghe file inseguite dai "liberatori" che arrivavano sopra grandi carri armati o camion pieni di tanti prodotti alimentari (cioccolate, cibi in scatola, tacchini enormi, sacchi di the, tutte cose a noi sconosciute !). Che confusione !

Quanta paura e quanti morti si vedevano ogni giorno lungo le strade.

Auguro a tutti voi di non vedere mai una calamità così impressionante.

Annarella.

sabato 16 novembre 2013

Buffer Overflow


In informatica il buffer overflow è una vulnerabilità di sicurezza che può affliggere un programma software. Consiste nel fatto che tale programma non controlla in anticipo la lunghezza dei dati in arrivo, ma si limita a scrivere il loro valore in un buffer di lunghezza prestabilita, confidando che l'utente (o il mittente) non immetta più dati di quanti esso ne possa contenere.
 
( da Wikipedia )



Ogni tanto mi viene in mente Beatrice (Bea), una ragazzina schizofrenica, cieca, che aveva trascorso parte della sua infanzia-giovinezza in un manicomio (ce li ricordiamo ancora ?).



Bea, ogni volta che era eccessivamente stimolata, si innervosiva, iniziava ad avere paura e ansia ed entrava in un circolo vizioso.



Cominciava a dire che era rotta, brutta, in maniera sempre più agitata e si metteva le dita negli occhi. Bisognava bloccarla con la forza fisica, per evitare che si facesse del male da sola, inibendo quello che i comportamentisti definiscono un comportamento-problema.



Ma qual è veramente il comportamento-problema ?


Forse per Bea faceva meno male ficcarsi il dito in un occhio che essere ancora sollecitata con altri stimoli.



Ma come?



Oggi sembra un’eresia pensare che possiamo essere troppo stimolati.



Viviamo in un contesto super sollecitante.

Si è creato quasi il binomio stimolo=benessere.



Non so perché ma io spesso mi sento come Bea: mi sembra che le sollecitazioni alle quali siamo ogni giorno sottoposti siano troppe.



Non fai in tempo a scaricare la posta elettronica e a leggere le comunicazioni vere tra la valanga di pubblicità che ti sommerge, che al nuovo invia-e-ricevi ecco di nuovo qualcuno che ha qualcosa da dirti.



Per andare al lavoro, ci troviamo spesso imbottigliati nel traffico, in tangenziale e in autostrada: rumori e smog permeano i nostri sensi. Ci sentiamo tramortiti da un contesto superurbanizzato.



Ognuno di noi ha spesso due cellulari o il cellulare con la doppia sim… doppio canale di entrata per gestire i flussi di telefonate che ci devono arrivare dall’esterno, da casa e dal lavoro.



E’ necessario iscriversi a corsi di inglese, informatica, cucina, arti marziali, per tenersi in forma, conoscere, spaziare con la mente.


Così come dobbiamo andare alle riunioni scolastiche dei nostri figli, portarli a fare sport, a musica, inglese, scacchi, hip-hop, teatro....



Arrivano messaggi su twitter, whatsapp… bisogna aggiornare il proprio profilo su facebook e pubblicare le foto su instagram….



In mezzo a tutto questo c’è la corsa nei super-iper-mercati per approvvigionarsi di viveri, vestiario, oggetti di varia natura con relativa fila ai banchi, alle casse, al parcheggio…



Recentemente ad una riunione di rappresentanti della scuola di mio figlio, una mamma condivideva il seguente problema. L’equazione era un po’ questa:



dato che la scuola chiede un contributo a tutti i genitori per le attività integrative,  ma non tutti i genitori versano il contributo e qualcuno non dà neanche quello obbligatorio, noi come classe interamente pagante, abbiamo diritto di fare comunque le attività integrative che ci interessano.

Se proprio i soldi non bastano, siamo disposti a pagare di più pur di fare le attività.



Mi è sembrato il segno evidente che il sistema famiglia-scuola non fosse più in grado di gestire il suo BUFFER ed esprimesse l’ennesima richiesta di ulteriori stimolazioni.

Per certi aspetti è una richiesta completamente corretta nella logica che citavo prima e - tutto sommato - anche generosa: non importa che con i miei soldi ho compensato la mancanza di chi non paga e forse anche l’assenza di controlli da parte della scuola, ma adesso per favore fateci pagare ancora e dateci questi benedetti stimoli !!!



Quella mamma forse non voleva dire questo!! 

Eppure il discorso mi stonava , come se volessimo a tutti i costi costruire un individuo iperstimolato, ma all’interno di un contesto privato del senso di cosa significa essere un gruppo sociale, alla ricerca del benessere del gruppo con i suoi diritti e doveri.


Dov’è finita la dimensione dell’intimità che consente di costruire se stessi e quella della forza/coesione sociale che deriva dall’avere un’idea di bene comune da costruire assieme ?


Forse dobbiamo iniziare a svuotare il BUFFER INDIVIDUALE e iniziare a riempire di nuovo pensiero il BUFFER SOCIALE ?

Silvia.
 

sabato 19 ottobre 2013

Gli oggetti del desiderio



E’ domenica e sono dentro un ipermercato.

E’ già una stranezza di per sé,  attenuata solo dal fatto che fuori piove e quindi sembra sensato cercare un posto dove stare al chiuso.

La musica serpeggia ovunque, ci sono stands con depliants e rappresentanti che cercano di farti assaggiare, sentire, provare il loro prodotto.

La gente appare frenetica, non felice. Indaffarate nel fare la spesa, nell’entrare e nell’uscire dai vari negozietti del centro commerciale, con un atteggiamento produttivo.
 
Sembrano tutti in preda ad una forma di autismo collettivo: le persone infatti, attraversano il centro entrando per la scala mobile e riuscendone continuamente.
Sembrerebbe un video gioco dove le persone sono sempre le stesse che entrano e che escono, invece sono persone diverse ma che compiono tutte gli stessi gesti.
 
E’ come se fosse stato azionato un motore invisibile che ci spinge all’acquisto, tanto che ormai si è diffuso un nuovo problema psicologico quello dettato  dalla pulsione allo “shopping compulsivo”.
 
Gli oggetti hanno acquistato infatti, gradualmente, ma inesorabilmente, un posto importante nella vita della persone.  Un posto sempre più centrale.
E’ diventato molto più breve invece il tasso di saturazione del desiderio.
Vedo un oggetto, lo desidero, lo acquisto, e dopo poco, non ricordo più neanche perchè lo desideravo.
 
E’ vero i tempi stanno cambiando. Ci troviamo in tempo di crisi.
Quindi a volte, l’equazione si interrompe prima e diventa: vedo un oggetto, lo desidero e vorrei acquistarlo ma non posso farlo e mi sento frustrato.

Comunque a partire dalla ormai lontana rivoluzione industriale gli oggetti prodotti in serie sono diventati tanti, sempre più belli, sempre più necessari, sempre più desiderabili.
Il mancato possesso di oggetti oltre che far provare invidia e gelosia sociale, determina un senso di alienazione individuale.
 
Basta pensare agli smartphones, ai tablets, oggetti senza i quali sembra a molti quasi di non fare parte della collettività (e in un certo senso è così se parliamo di collettività “virtuale”).
Penso che questo impulso innestato gradualmente nel sistema con la produzione di massa di oggetti sempre più evoluti,  più estetici,  più al nostro “apparente” servizio, ci abbia resi dipendenti dal possedere  molti oggetti.

Non mi interessa fare una valutazione moralistica. Non credo sia utile dire cosa sia bene e cosa sia male. Ognuno di noi ovviamente fa le sue valutazioni.
Siamo cresciuti in un sistema economico in espansione da un punto di vista produttivo.
E ora che si è invertita la rotta e che molte persone sentono che non gli è più possibile non solo fare acquisti superflui, ma anche quelli più basilari, sta cambiando proprio la cornice mentale di riferimento.
E questo provoca oltre che ansia e senso di privazione, anche disorientamento.

Ci troviamo in un sistema “paradossale”: se non riusciamo ad acquistare stiamo male perché abbiamo meno beni di quelli che vorremmo; se le persone non acquistano la società produce meno beni; con la diminuzione di produzione e vendita di beni diminuisce la  “ricchezza” complessiva, la gente perde il lavoro e non può acquistare nuovi beni.

D’altro canto questo è un sistema di riferimento “chiuso” che, proprio perché tale, non trova al suo interno vie di uscita. 

E’ un sistema che non vede ad esempio che la continua produzione di nuovi beni/oggetti determina un accumulo di rifiuti di impossibile smaltimento, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, dei fiumi, che è la cornice allargata all’interno del quale sta il nostro sistema chiuso.
 
E se viene messo in pericolo l’ambiente di vita del sistema, anche qui, gradualmente ma inesorabilmente, viene minata la reperibilità dei beni di primaria necessità, come ad esempio l’acqua.
 
Si tratta di cerchi concentrici.
Non credo che un cerchio possa o debba escludere l’altro.
I beni (per quanto il nome sia fuorviante) non sono di  per sé né negativi, né positivi.

Ma la quantità di produzione che si realizza, le modalità in cui i beni vengono prodotti, il loro smaltimento, le “qualità” che vengono attribuite al bene con la pubblicità e che concorrono a formare l’identità dell’individuo se posseduto, devono essere pensate nel loro insieme e non in modo frammentato e autoreferenziale.

Insomma: quali oggetti e servizi produrre? Come produrli e in che condizioni? Con quale smaltimento? Cosa significa possedere certi oggetti, ossia che messaggi vengono mandati  con la pubblicità?
Si può produrre meno o produrre in modo diverso, diventando forse tutti un po’ meno ricchi di “oggetti”?

Mi viene in mente che la crisi economica che stiamo attraversando ora,  all’uscita dal secondo dopoguerra, avrebbe portato comunque preoccupazione, stress e tensione, ma l’economia era ancora diversa.

Gli oggetti non erano ancora diventati così desiderabili. O forse c’era in ogni persona ancora vivo il desiderio di un cambiamento, che non necessariamente era un mondo pieno  di oggetti. Gli oggetti potevano ancora essere immaginati per facilitare la quotidianità, per aiutare l’uomo a vivere meglio.

Forse è un po’ retorico e chissà quali erano i reali pensieri di questo ricordo che è frutto di un racconto che è arrivato a me. Ogni tanto però mi viene in mente e sento che è una “vera” storia.

E’ la storia di una donna del dopoguerra, Elisabetta (Betta), che lavorava nel negozio alimentari di famiglia. Aveva quattro figli e il marito senza un braccio, perché era invalido di guerra. 

La situazione del negozio rendeva la famiglia un po’ più agiata rispetto a quella degli abitanti del paese dove vivevano.
 
Betta, da piccola, aveva conosciuto una grande povertà e non l’aveva dimenticata. Per questo la sera quando cucinava, metteva sempre dosi sempre maggiori, di pasta, di polenta, di uova…. perché era sempre possibile che qualcuno, tornando a casa e, non avendo da mangiare per la cena, bussasse alla loro porta.
 
Betta sapeva anche i nomi di alcuni di loro che sicuramente avrebbero bussato e non poteva immaginare di lasciarli fuori con la loro fame.

Ecco, personalmente, vorrei saper provare ancora qualche desiderio come questo.

Silvia.

domenica 6 ottobre 2013

Il bilancio del pareggio (di bilancio).


Come tutti sappiamo, l'Europa ha recentemente imposto agli Stati membri il raggiungimento del Pareggio di Bilancio e l'Italia ha recepito questo vincolo (esterno) in maniera molto forte adottando una norma di rango, addirittura, costituzionale.

Questa è una fonte ufficiale:


http://leg16.camera.it/465?area=1&tema=496&Il+pareggio+di+bilancio+in+Costituzione

Per capire come funziona e cosa implica l'adozione della politica del Pareggio di Bilancio dobbiamo prima di tutto cercare di capire che cos'è il Bilancio dello Stato almeno per i suoi elementi essenziali.

Il Bilancio (B) dello Stato può essere rappresentato nel modo seguente:

B = T - S - I

dove

T sono le entrate fiscali (le tasse)

S è la spesa pubblica cioè tutto quello che lo Stato centrale e le Pubbliche amministrazioni spendono per il proprio funzionamento.

Per semplicità includiamo nella spesa S anche gli investimenti (pubblici).

I è la spesa per interessi sui titoli del Debito Pubblico già collocati (il cosiddetto "servizio del debito" che, in Italia, ha raggiunto la incredibile cifra di quasi 90 miliardi di euro all'anno).

Ora introduciamo la grandezza P che misura il PIL (Prodotto Interno Lordo) e cioè il reddito complessivo che tutto il sistema-Paese produce in un anno.

Possiamo ricondurre al PIL tutte le grandezze che compongono il bilancio.

Ad esempio possiamo esprimere le entrate fiscali T come una percentuale (p) del PIL:

T = pP

e diciamo che la percentuale p rappresenta la "pressione fiscale" cioè la quota della ricchezza prodotta ogni anno da tutto il Paese che viene "sottratta" dallo Stato per coprire i suoi costi di funzionamento e pagare gli interessi ai propri creditori.

La spesa per interessi è esprimibile come una percentuale d del Debito Pubblico cioè:

I = dD

dove il coefficiente d rappresenta il tasso di interesse medio dell'intero stock di debito accumulato negli anni.

Più è alto l'ammontare totale del debito D e più è alto il tasso di interesse medio (d), maggiore sarà la spesa annuale per interessi e quindi maggiore la quota delle entrate fiscali che deve essere destinata al pagamento degli interessi.

Introduciamo ora il famoso rapporto Debito/PIL (rapporto che, per l'Italia, ha raggiunto e superato la quota del 127%) e lo indichiamo con la lettera 'e':

e = D/P

da cui:

D = eP

e quindi:

I = deP


Con queste banali trasformazioni riscriviamo ora l'equazione del Bilancio:

B = pP - S - deP = (p - de)P - S

E imponendo il vincolo del Pareggio di Bilancio

B >= 0
 
otteniamo

S <= (p - de)P
 
Una semplicissima equazione che esprime in modo evidente un concetto altrettanto semplice:

imporre il pareggio di Bilancio equivale ad imporre un limite superiore alla Spesa Pubblica rispetto al PIL in determinate condizioni di indebitamento (e), tassi di interesse (d) e pressione fiscale (p).

Quindi, se crolla il PIL anche per motivi esogeni - e il PIL, dal 2008 ad oggi, è crollato a causa del terremoto finanziario scoppiato negli USA e poi trasferito in Europa - deve necessariamente crollare anche la Spesa Pubblica per poter mantenere il bilancio in pareggio.

Se il PIL crolla e vuoi mantenere il vincolo del pareggio di bilancio e vuoi cercare di mantere (anche) gli stessi livelli di spesa (e cioè lo stesso livello di servizi e investimenti pubblici) puoi provare a lavorare sul coefficiente

( p - de )

per cercare compensare la diminuzione di P.

Vediamo se è possibile.


Per aumentare il valore del coefficiente lo Stato può fare queste tre cose:

A) aumentare la pressione fiscale (p) 

oppure

B) ridurre il rapporto debito/pil (e) 

oppure

C) ridurre i tassi di interesse (d) sui propri titoli.

Ma, purtroppo, nessuna delle tre opzioni è oggi praticabile perchè:

A) La pressione fiscale è già ai massimi storici e si può solo guadagnare qualche altra frazione di punto comunque incidendo negativamente sul PIL a causa della conseguente riduzione dei consumi.

B) Il rapporto debito/pil è un dato strutturale di lungo periodo che non si può aggredire nel breve termine a meno di non iniziare a svendere il patrimonio dello Stato a tappe forzate, liquidare gli assets strategici e, con il ricavato, estinguere porzioni rilevanti dello stok di debito (lo puoi fare, ma ci vuole tempo e comunque ti privi per sempre di pezzi importanti di patrimonio e del reddito che questi "pezzi di patrimonio" potrebbero generare se correttamente valorizzati)

C) Il tasso medio di interesse sul debito pubblico è - da tempo - una variabile completamente esogena e totalmente fuori dal controllo dello Stato il suo valore essendo fissato esclusivamente dalla dinamica dei cosiddetti "mercati" finanziari (in Italia è così dal 1981 da quando, cioè, si è consumato il cosiddetto "divorzio" tra Tesoro e Bankitalia e quest'ultima ha smesso definitivamente di acquistare titoli di stato sul mercato primario e quindi ha smesso di calmierare i tassi di interesse che, da allora, vengono stabiliti solo dai privati investitori)

Quindi non possiamo fare nulla

per rispettare il "patto d'acciaio" del Pareggio di Bilancio - come ci impone l'Europa del vincolo esterno - quando crolla il PIL noi dobbiamo far crollare anche la Spesa.
 
Ma a questo punto a me viene una domanda, e forse viene anche a voi:

Ha senso imporre il pareggio di bilancio in una congiuntura economica che sta provocando il crollo verticale della ricchezza prodotta dalla Nazione ?

Non dovremmo, invece, adottare una politica diametralmente OPPOSTA proprio per contrastare il ciclo e sperare di invertire la tendenza ?

Cioè, non dovremmo contrastare il crollo del PIL con maggiore Spesa e maggiori Investimenti (anche a deficit !) e tenere alto il livello dei consumi interni e quindi la produzione industriale e l'occupazione ?

Non lo so, io non sono un economista di professione ma solo uno che cerca di capire con la sua testa mettendo assieme le informazioni che sono alla sua portata ... ma ...

a me il Pareggio di Bilancio, in piena crisi economica, sembra pura FOLLIA e mi chiedo a chi convenga veramente e perchè prima di adottare supinamente una politica così restrittiva e suicida, non è stato promosso - nel Paese - un confronto democratico a tutti i livelli possibili.

Sandro.

venerdì 4 ottobre 2013

Analogie e differenze...


Ecco, un'altra tragedia si è abbattuta poco lontano dalle nostre case. I morti di Lampedusa sono di fronte a noi, di fronte alle nostre coscienze. Abbiamo tante volte scritto in questo blog che così non può andare avanti, che il mondo sta scoppiando, che le disuguaglianze non possono andare oltre un limite. L'immagine nel post è quella degli emigrati in Italia all'inizio del '900. Quelli erano i nostri bis-bis-nonni. Cosa si vede in quella foto ? Si vede tanta povera gente accatastata, che viaggiava in terza classe in quelle navi enormi che solcavano l'Atlantico,  che cercava un futuro nell'altra parte del mondo. Gente che lasciava casa, amicizie, storia, parenti, beni, sapori,...per avere un futuro.  Per sperare di avere un futuro. E quegli essere umani sono stati accettati in quel nuovo mondo, sicuramente subendo umiliazioni. Se si visita Ellis Island, a New York, se ne ha una immediata percezione, di quelle umiliazioni. Tuttavia sono arrivati, sono stati accolti e molti, moltissimi, forse tutti quelli che sono arrivati hanno avuto un futuro. 

Ci sono analogie e parecchie differenze, tra quella situazione e quella di oggi.

Prima fuggivano gli italiani, gli irlandesi, i poveri greci, adesso fuggono i popoli del Nord Africa per arrivare in Europa. Poverissimi che non hanno lavoro, dove l'acqua scarseggia, dove i bambini  ancora muoiono per malattie da noi oramai scomparse da anni...Queste povere persone preferiscono partire dai loro villaggi, attraversare il deserto, soffrire e morire, durante il viaggio. Soffrire e morire per gli stenti, accatastati in 500 su barconi che potrebbero portarne 15. Peggio, mille volte peggio di quanto accadeva 100 anni fa ! Uomini, donne, anziani, bambini. Fuggiti con la speranza di trovare dei Paesi amici che potessero dar loro un futuro. E invece muoiono. Annegati. 

E noi, adesso ? Una settimana, un mese di cordoglio. Lutto nazionale. E poi si ricomincia.

Analogie e differenze...

Chissà, forse oggi Primo Levi scriverebbe una nuova versione della sua meravigliosa poesia che è l'incipit del suo libro "Se Questo è un Uomo". Perchè quella poesia è la rappresentazione della crudeltà umana che si rigenera sempre, come la zizzania nel campo di grano, ogni volta assumendo forme diverse, ma mantenendo se stessa. E senza che gli uomini possano mai imparare dagli errori del passato, per dare una nuova direzione al loro futuro.  



Noi che viviamo sicuri
nelle nostre tiepide case, 
noi che troviamo tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Consideriamo se questo è un uomo

che naviga con altri mille in un mare in tempesta
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un po' d’acqua.

Consideriamo se questa è una donna,
senza forza e senza più nome
senza più voglia di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.

Meditate che questo è accaduto adesso 
e questo accadrà ancora:
comandiamoci queste parole.
Scolpiamole nel nostro cuore
stando in casa e andando per via,
coricandoci, alzandoci.

Ripetiamolo ai nostri figli.
O ci si rompa la casa,
la malattia ci impedisca,
i nostri nati torcano il viso da noi.


domenica 22 settembre 2013

Conoscenza e Libertà, e il futuro dimenticato...


Foto: BAMBINI SUL PANARO PER ANDARE A SCUOLA

Questa foto, famosa nel mondo, ci ricorda di quando fino a pochi anni fa i bambini di Guiglia erano costretti tutti i giorni ad attraversare il fiume Panaro appesi ad un cavo tramite delle semplici carrucole.

La foto, del 1959, evidenzia quanto il tempo abbia mutato profondamente la nostra capacità di ricordare il passato allontanandolo psicologicamente molto più del reale dai nostri giorni.

La voglio condividere oggi per ricordare ai nostri ragazzi, che stanno per iniziare le scuole, che la frequenza scolastica obbligatoria è una conquista recente e la più importante tra quelle fatte dalle democrazie moderne.

E per ricordare a loro che andare a scuola vale la pena di fare molti sacrifici e che alla fine del percorso il premio non è l' iPhone, la playstation o la bici a ruota fissa ... ma la libertà di poter pensare con la propria testa


Ho visto di recente pubblicata su un social network (la foto è stata postata dal Sig. Ermes Spadoni) una foto che a me sembra bellissima. E' una foto di parecchi anni fa, siamo attorno alla fine degli anni '50, e mostra dei bambini appesi ad una fune e trascinati da una carrucola che li trasborda da una parte all'altra del fiume Panaro, in Emilia-Romagna. La ripropongo in questo post perché la trovo, oltre che bella, anche parecchio istruttiva.

Quella fune univa quei bambini alla loro scuola. Si potrebbe dire, usando una metafora, che li traghettava verso la conoscenza. Quella conoscenza che aiuta a divenire liberi, perché la persona che sa è più difficile che sia sfruttata o addirittura schiavizzata, differentemente da quella che ignora. Ad esempio i suoi diritti...

Sicuramente per uno come me che in quegli anni aveva l'età di quei bambini o poco meno, quella foto procura anche  un gran senso di nostalgia, e non perchè io usassi andare a scuola con quei mezzi (anche se mi sarebbe piaciuto, non c'è alcun dubbio !). Ma forse il sentimento giusto non è solo nostalgia, ma certamente anche il rammarico per quella gioventù perduta che, a più di cinquant'anni, ritorna solo nei ricordi. Sicuramente dolci ricordi, visto la memoria spesso mette fuori fuoco, sfuma, anche i momenti difficili che in quegli anni abbiamo sicuramente vissuto. Però la nostalgia e il rammarico non sono le uniche sensazioni che ho provato, nel vedere quella foto. Non mi sarei messo a scrivere una nota solo per manifestare una nostalgia, che può certo rimanere ben collocata nelle sfere del mio...privato.

C'è di più, infatti. E questo di più è inevitabilmente pubblico e sento quindi la necessità di condividerlo, con i nostri venticinque lettori di Piazzaverdi (chiedo umilmente scusa per la citazione manzoniana).

Mi sono infatti chiesto quale potesse essere la spinta che induceva quei bambini a correre quel rischio, per  andare a scuola. Sicuramente era senso del dovere imposto dai genitori, non ritengo fosse innato vista l'età (ma non si può neanche esserne certi...), ai quali in quegli anni spesso si obbediva senza troppe discussioni. E quei genitori, in quegli anni, dovevano avere certamente un gran rispetto per le istituzioni se ritenevano importante far trascinare da una carrucola sopra un fiume i figli a scuola, facendo loro rischiare dei danni seri. Probabilmente che quello fosse un dovere importante non era cosa neanche da mettere in discussione.
A meno che, ma non credo, non fossero tutti così pazzi da mettere a rischio la vita dei loro figli per far loro imparare le tabelline o un po' di storia. Si, parlo di rischio della vita, perché cadere in acqua, magari gelida (la foto ci mostra dei bimbi con i cappotti addosso) avrebbe anche potuto significare morte sicura.

Ma allora, perché far correre quel rischio ? Non sarebbe stato meglio tenerli a casa, magari anche solo nelle giornate più fredde ? Sinceramente, chiediamoci, chi di noi oggi avrebbe consigliato ad un proprio figlio di attaccarsi ad una carrucola poggiata su una fune per attraversare un fiume, d'inverno, per andare a scuola ?

Non c'è dubbio: oggi quell'immagine  appare  surreale, sembra finta.

Ma la stranezza non è connessa solo al mezzo di trasporto o all'incuria del rischio. Ho il timore che l'attuale sensazione di  incredulità nasca anche dal ritenere che quei valori che una volta guidavano le scelte, spesso difficili, di quei padri e di quelle madri, siano oggi divenuti merce cui si possa fare a meno. Sto parlando del senso del dovere, dell' importanza da dare alla conoscenza, al rispetto per gli insegnanti, al rispetto per le istituzioni. Oggi parlare di questi valori sembra quasi, per l'appunto, surreale...

Oggi che quella fune sarà stata sostituita sicuramente da un ponte, c'è  la consapevolezza che lo studio, la fatica, il rischio personale per ottenere un fine alto,  possano ancora servire in questa società ? Dove l'affermazione sociale molti ritengono possa essere ottenuta solo grazie ai soldi, alla facile scorciatoia della presenza fisica, dove l'arte della mediazione infinita annulla ogni credo politico ? Dove il valore e il rispetto per la cultura, per la conoscenza, sono divenuti inutili orpelli per troppa gente ? E non mi si dica che coltivare questi valori non sia cosa che ci si possa più permettere, visti i tempi grami di oggi:  perché allora cosa avrebbero dovuto dire i nostri nonni e bisnonni, usciti poverissimi e distrutti da una guerra terrificante ? Per loro magari tirare su quattro soldi per vivere poteva anche essere anche più importante che mandare i figli a scuola. Però ce li mandavano lo stesso, a scuola, e pure attaccati ad una fune, sembra...

Sono sinceramente scettico che ci potrebbero oggi essere dei genitori che accetterebbero quel rischio, imponendo ai figli di andare a scuola attaccati a un filo.

Però la conoscenza rende liberi, e se questo è vero allora è anche altrettanto vero che qualche pensiero unico ha attentato alla nostra libertà, indebolendo quei valori che ora appaiono inutili, che non servono per avere successo nella vita. Questo pensiero unico che ha demolito in questi ultimi trenta anni di malefica era berlusconiana l'importanza del conoscere, l'importanza della scuola, del sapere, dell'essere curiosi. Al contrario ha riempito i nostri cervelli di messaggi pubblicitari ebeti, diretti e indiretti dai quali si evinceva che altri erano i valori importanti per raggiungere una qualche posizione nella società. La necessità di  comprare e di vendere prima di tutto, la cultura della presenza fisica, del farsi strada nella vita con la furbizia e con l'unico scopo di fare i soldi facilmente, usando tutte le scorciatoie. Perché con i soldi si compra tutto, non solo i beni materiali, ma anche il consenso, talvolta l'anima delle persone.

Valori diametralmente opposti a quelli che ti fanno crescere dentro lo studio e la conoscenza. Lo studio della Storia e delle Lettere, fondamentali per capire le nostre origini, la nostra lingua, e quello delle Scienza per farci capire come funziona la Natura attorno a noi. Tutte cose che, detta semplice, non procurano soldi almeno nel breve termine, o successo. Ma solo ricchezza spirituale, della quale se ne sente sempre meno il bisogno, pare. Ricordo ancora la gioia reale che provavo quando studiavo Fisica, all'Università. E quando capivo una cosa. Ricordo ancora il grado di eccitazione intellettuale che la cosa mi procurava. Stavo capendo un pezzo di funzionamento del mondo. E ne parlavamo assieme, tra amici, durante le code alla mensa, la sera tornando a casa. Non era meraviglioso ? C'è ancora tutto ciò ? Io credo che ci sia, ma è massacrato da altro: dalla paura che non serva, per farsi strada nella vita.

Ma appunto la conoscenza non procura solo gioia reale, la conoscenza procura la necessità di credere nella libertà e alimenta la consapevolezza dei nostri diritti. Troppo spesso calpestati senza che ci sia una reazione, neanche minima. Ma come potrebbe esserci una reazione se è scomparsa la consapevolezza che quei valori sono invece fondamentali, e se conta di più l'ennesima vacanza mordi e fuggi nell'isola greca, piuttosto che lo studio faticoso di un libro di storia o o di fisica ? Che futuro si può pretendere di avere se non c'è più la consapevolezza che pretendere un futuro, per noi e soprattutto per i nostri figli, sia un diritto inalienabile ? Già, il futuro, questo dimenticato, perché la cultura dell'avere ha solo il presente come obiettivo: stare bene oggi e avere la pancia piena, e un grande conto in banca. Domani si vedrà, ci si arrangerà.

Continuare ad alimentare questi falsi valori sta producendo la catastrofe che sta di fronte a noi. Parlo a pieno titolo di catastrofe perché giudico proprio catastrofica questa odiosa timidezza che vedo sempre più in giro e che ci frena dall'arrabbiarci contro questa società mercificata e che ci umilia come esseri umani. Ad esempio lasciando a piedi  i bravi e facendo invece emergere gli asini.

Se qualcuno si ricorda quel bellissimo film di Peter Weir, l'Attimo Fuggente, temo che oggi pochi saprebbero alzarsi di notte, fuggire da ogni controllo nella notte, per andare a leggere in una grotta delle poesie. Oppure ancor meno saprebbero alzarsi in piedi sopra un banco e gridare "o capitano, mio capitano", come fa il biondo ragazzo nell'ultima scena del film, quando manifesta con quel suo grido non solo il senso di vicinanza al professore che l'ha liberato dal suo grave senso di inferiorità, ma anche la sua ferrea volontà di manifestare la propria libertà, sempre, e comunque, anche correndo il rischio di venire espulso dal collegio. Oggi c'è ancora qualcuno in grado di rischiare qualcosa di se stesso per far valere un'idea, oppure siamo al solito guidati da quel dannato calcolo del rapporto costo/beneficio che ha annullato le nostre coscienze ?

Riprendiamoci il futuro cari i miei venticinque lettori. Non è dimenticato, è solo invisibile perché è nascosto e rimasto incastrato al'interno di quell'odiosa ragnatela di sovrastrutture mentali prodotte dall' eccessiva timidezza, dal menefreghismo, dal culto dell'avere piuttosto che dell'essere, e soprattutto dall'eccessivo rispetto di questi odiosi falsi profeti che ce lo hanno nascosto a colpi di talk show urlati, di grandi fratelli pieni di poveracci che cercano successo dicendo parolacce e di pubblicità immonda che ci hanno venduto per anni. Ribelliamoci, non abbiamo paura di essere sgradevoli: il futuro dei nostri figli, almeno quello, è troppo importante per tenerlo nascosto nelle pieghe del perbenismo.

Carlo.

martedì 27 agosto 2013

Il secondo principio della termodinamica e la spartizione della...felicità





In matematica una disuguaglianza è una relazione d'ordine che mette a confronto due entità. Ad esempio se A è un numero e B un altro numero, la disuguaglianza A<B ( il simbolo < indica "minore di") indica che il numero A è minore del numero B. Ad esempio: 2 < 3.

Le leggi della Natura, nel mondo della Fisica (ma non solo), sono espresse quasi sempre da uguaglianze, del tipo A=B. Ad esempio, il secondo principio della Dinamica di Newton, afferma che la forza applicata ad un corpo (la grandezza F) è UGUALE alla massa (m) di quel corpo moltiplicata per la sua accelerazione (A):

F = m x A

Sussistono però dei casi particolari in cui alcune leggi molto importanti della Natura sono espresse da disuguaglianze.

Tra tutte il secondo principio della Termodinamica è sicuramente la disuguaglianza più rilevante e sicuramente più nota anche se, duole dirlo, forse la meno compresa, almeno per quanto riguarda i suoi impatti sulla nostra vita. Il secondo principio della Termodinamica ha una importanza del tutto eccezionale, dal momento che stabilisce l'irreversibilità dei processi naturali. Ci dice essenzialmente che il "tempo" ha una direzione precisa, dal passato verso il futuro. E non si può tornare indietro. La cosa può far stupire, perché che il passato venga prima del futuro e quasi ovvio, per tutti noi. Però le leggi della Fisica (ad esempio la già citata F=Ma) è invariante se si rovescia la freccia del tempo. In sostanza, per molte delle leggi della Natura, il futuro potrebbe venire prima del...passato. E' solo il secondo principio della termodinamica che dice: no, non si può, grazie. Si può solo invecchiare, non ringiovanire. Bella fregatura !

Per dirla quindi in altro modo, questo fondamentale principio ci dice che esiste un verso privilegiato nella direzione della "vita" dei Sistemi Naturali. Ed è, purtroppo, il verso che conduce al "degrado" dell'energia e, quindi, della vita stessa dei Sistemi naturali, biologici, vegetali, nonché quelli sociali, che da "ordinati" possono solo divenire meno "ordinati", o "disordinati", ed infine morire. Questo se sono "isolati" dal resto dell'ambiente in cui sono collocati. Se non sono "isolati" dal resto dell'ambiente possono anche divenire più "ordinati", ma a scapito di tutti gli altri con cui interagiscono. 

Il livello di disordine di un sistema fisico si esprime, come noto, attraverso una grandezza che si chiama Entropia (in genere si indica con la lettera S), e la seconda legge della Termodinamica dice che l' Entropia di un Sistema (chiamiamolo sistema A), isolato dal resto dell'ambiente, può solo crescere nel tempo. Quindi, il livello di "disordine" del sistema A, se è isolato, può solo aumentare e non diminuisce mai spontaneamente. Si tratti di un sistema fisico, di un sistema biologico, sociale, non cambia la legge. Nel seguito faremo alcuni esempi per illustrare questo principio. 

Per tornare alla matematica, e alle disuguaglianze, la legge dell'aumento dell'entropia S di quel sistema isolato A si esprime nel modo seguente:
Se indichiamo con Delta(SA) la variazione di entropia del sistema A tra un istante di tempo 1 e un istante di tempo 2, cioè:   Delta(SA) = SA(tempo=2) - SA(tempo=1) 

allora varrà che:  Delta(SA) > 0,

oppure, che è lo stesso,  SA(tempo=2) > SA(tempo=1). 

Il segno della disuguaglianza non può cambiare: l'entropia di un sistema isolato non puo' mai calare, nel tempo. Ci sono delle implicazioni di fondamentale importanza che bisogna analizzare e che discendono da questo principio. Val la pena un attimo di analizzarle.

Se un sistema isolato A è a sua volta composto da un insieme di sottosistemi, ad esempio per semplicità solo da due sottosistemi  A1 e A2, allora l'entropia S complessiva del sistema A è pari alla somma delle entropie dei suoi sottosistemi, SA1 e SA2 e varrà che: 

Delta(SA) = Delta(SA1) + Delta(SA2)   > 0. 

il che significa che se il primo sottosistema A1 ha una Entropia SA1 che cala nel tempo (Delta (SA1)<0), il secondo sottosistema dovrà avere un'Entropia che cresce nel tempo. Per di più, la variazione (positiva) dell'entropia di A2 deve essere maggiore, in valore assoluto, della variazione (negativa) dell'entropia di A1. Questo perché il totale della variazione di entropia dei due sottosistemi A1 e A2 sia comunque positivo. 

In sostanza, due sottosistemi che interagiscono tra di loro e che si possono ritenere "isolati" dal resto dell'ambiente, non possono entrambi aumentare il loro livello di "ordine". Al contrario, se un sottosistema si "ordina", l'altro, inevitabilmente, si..."disordina". Sembra uno scioglilingua, e invece è solo la Natura delle cose. E la potenza, verrebbe da dire, la bellezza "mortale",  del secondo principio.

Il secondo principio della Termodinamica esprime quindi la disuguaglianza della vita. C'è una specie di "vaso comunicante", imposto dalla legge dell'aumento dell'Entropia, che regola questo flusso. L'energia che serve per ordinare uno dei due sistemi è in buona parte prelevata dall'altro, dove invece si scarica l'entropia e il disordine. Questo, ripetiamo ancora, se i due sistemi, assieme, costituiscono un sistema isolato.

Ovviamente i due sottosistemi, assieme, potrebbero simultaneamente auto-ordinarsi di più. In tal caso però l'energia per operare tale processo dovrebbe essere estratta per forza dal di fuori, e quindi il sistema non sarebbe più isolato, e ci sarebbe un terzo (o un quarto o un quinto ecc...) sistema che interagisce con i primi due che aumenterebbe il suo disordine. I tre sistemi (o quattro, cinque....), in questo caso, costituirebbero un super-sistema isolato...che in totale si disordina di più. E' implacabile, la legge dell'aumento dell'Entropia.
Si dice che l'Entropia dell'Universo, che è sicuramente un sistema chiuso e isolato, può solo crescere. E con essa il suo disordine...A meno che non ci siano Universi paralleli, ma questa può essere fantascienza.

Se esportiamo questo concetto anche ai sistemi sociali, come ad esempio i Paesi del mondo, l'organizzazione (e quindi la ricchezza) di un Paese o di un gruppo di Paesi può essere realizzata solo a scapito di Paesi terzi. Se l'unione di tutti questi paesi è un sistema isolato. Questa cosa mi ricorda...il...colonialismo ? Riprenderemo questo concetto tra un po', parlando della Terra.

Facciamo prima però un passo indietro, necessario: cosa si intende per "ordine" di un sistema e che cosa vuol dire mettere "ordine" ad un sistema sociale, come ad esempio può essere uno Stato ?
Si potrebbe dire che un sistema sociale è ordinato se evolve la sua vita nel tempo rispettando delle regole che frenano un suo possibile transito al disordine. Cioè al caos. Dove essenzialmente non esiste una parvenza di società civile, non ci sono regole, ognuno fa quello che vuole, non ci sono leggi oppure non vengono rispettate (verrebbe da dire che in uno Stato del genere uno può essere anche condannato in terzo grado, ma se ha le televisioni e un sacco di soldi,...magari gli fanno la grazia. Ma questa è una battutaccia, che però non fa ridere...)

Torniamo seri e facciamo due esempi per chiarire. 

Come primo esempio  pensiamo ad un plotone di soldati (il sistema A) che marciano in un cortile di una caserma in 9 file poste una dietro l'altra e composte ognuna da 9 soldati (il totale sono quindi 9*9=81 soldati). Non credo ci voglia molto a capire che, sicuramente, un tale sistema è più ordinato di un gruppo di 81 soldati che si muovano come vogliono in quello stesso cortile. Si comprende facilmente, anche da un esempio banale come questo, che l'ordine va imposto, non nasce spontaneamente; perché, al contrario il sistema, naturale o sociale che possa essere, transita quanto prima verso il disordine se lo si lascia libero. E' sicuramente meno faticoso (fisicamente e mentalmente) camminare come si vuole, piuttosto che marciare schierati all'interno di un plotone. Non serve alcuno sforzo per essere...disordinati, dopo tutto...

Come secondo esempio, pensiamo quanta fatica deve fare un direttore d'orchestra per far suonare in ordine i suoi concertisti, e magari un coro di uomini e donne che canti con l'orchestra. Deve dare gli stacchi, gestire le crescite e i cali di tonalità, dare il via al coro, curare l'armonia. Senza un direttore d'orchestra non è da escludere che un'orchestra possa suonare lo stesso, ma molto probabilmente il risultato finale non sarebbe un bel concerto: magari gli orchestrali potrebbero anticipare o ritardare i tempi di entrata o di uscita da una "frase" musicale, il coro stonare.... Si potrebbe anche raggiungere il caos, altro che l'armonia.

Il punto è che, per evitare che il disordine cresca è necessario compiere un lavoro... 

Nel caso specifico del plotone di soldati servono ore e ore di allenamenti per far camminare 81 persone in quell'ordine preciso. Nel caso dell'orchestra sono ore e ore di prove, prove, prove....e  urla, rimproveri, stress,...sudate del direttore d'orchestra.

E' teoria tutto ciò ?

No, non è teoria, ma la rappresentazione della nostra società.

E basta visitare un paese sottosviluppato oppure anche in lenta via di sviluppo per rendersi conto facilmente che tutto quanto detto prima non sia teoria. La regola dell'aumento dell'entropia che determina, di fatto, l'aumento delle disuguaglianze, è talmente evidente che lascia esterefatti. Almeno chi sappia o voglia, o abbia anche solo l'umiltà,...di  guardare.

Recentemente uno di noi due (Carlo) è stato in Messico, e ha verificato di persona come in una stessa città potessero convivere quartieri distanti tra loro poche centinaia di metri, dove macro-ordine e macro-disordine si contrapponevano; dove l'ordine forzato in un quartiere, guarda caso dove abitano le classi dominanti dei benestanti, di fatto preclude all'altro quartiere di ordinarsi, guarda caso quello dove abitano i più poveri. Questo avviene perché l'energia (la forza lavoro, ad esempio) che serve per ordinare e arricchire, ancora di più, il quartiere dei benestanti è estratta dal quartiere povero, disordinato, caotico, quello dei più poveri, che vede così crescere ancora di più il suo disordine. In quelle realtà urbane un numero molto ampio di uomini e donne dei quartieri più poveri svolgono lavori letteralmente da "schiavi" all'interno dei quartieri più ricchi, per guadagnare quei pochi soldi che servono loro per vivere. Probabilmente, se fosse possibile, potrebbero usare la propria "energia" per sistemare il loro quartiere, mettere un po' di ordine, ma farebbero fatica a trovare qualcuno che li paga, per questo.  

E con il disordine che cresce, cresce la povertà. E con la povertà...l'infelicità. L'infelicità che può avere un padre che vive, nel 2013, con la sua famiglia non in una casa decente, in muratura, ma in una "baracca" di legno e paglia e con il tetto di latta. E dove vede i propri figli morire da piccolini perché attaccati magari dai serpenti, che entrano all'interno di quelle baracche. Una ragazza conosciuta in Messico raccontava che nel suo paese ogni anno 4-5 bambini muoiono perché morsi dai serpenti, all'interno delle loro case-baracche ! In aggiunta, quei paesi o villaggi o quartieri sono, nell'anno 2013, ancora per la maggior parte sprovvisti di fognature decorose, sono privi di acqua potabile e divengono il ricettacolo di malattie infettive, oltre che luoghi di forte degrado. Dove la micro-criminalità ha pieno spazio di manovra e si perpetua e rafforza nel tempo proprio a causa dell'estrema povertà delle persone. E questa tragedia non puoi non vederla, se visiti quei posti, perché ti si presenta davanti agli occhi e la puoi misurare anche solo dagli sguardi di decine e decine di bambini che ti corrono dietro per venderti una bottiglietta d'acqua, un ananas, una coca-cola, per pochissimi denari.

A fianco dei quartieri poverissimi e degradati, a poche centinaia di metri, una microscopica minoranza vive invece in ricchissimi sobborghi (in Messico vengono talvolta chiamati "Fieste Americane", qualcuno indovini perché...) dove invece regna un ordine "svizzero", con giardini fioriti, curati, dove le persone, ben vestite, camminano in maniera ordinata per le strade, non ti urlano dietro, dove le auto non travolgono i pedoni, dove i cassonetti dei rifiuti ci sono e sono ben tenuti, dove le case hanno l'acqua potabile all'interno (in realtà hanno anche la piscina). E all'interno di quelle case-quasi-regge operano e si dannano (per pochi soldi) i cittadini che provengono dai quartieri poveri, caotici, degradati. Che cos'è tutto ciò se non energia "estratta" dai poveri che serve per far diventare più ricchi i già ricchi ? Una meravigliosa favola di Robin Hood, ma  al contrario...

Queste disuguaglianze tra esseri umani sono talmente evidenti e macroscopiche che si stenta a credere che possano essere reali, nel 2013, se non le si vede con i propri occhi, almeno una volta nella vita. Il livello di disuguaglianza tra le popolazioni dei vari stati del mondo è misurabile anche oggettivamente, per  altro, non si percepisce solo a livello "di pelle", come si usa dire. Esiste, ad esempio, un indice o coefficiente denominato Indice di Gini, inventato dal matematico italiano Corrado Gini, che misura esattamente il livello di Equità nella distribuzione del  "valore" all'interno di una società umana (ad esempio tra i cittadini di uno stesso stato, e/o tra Stati). La mappa dell'indice del mondo, visibile nella figura sottostante, evidenzia chiaramente quanto grandi siano le differenze tra gli stati e dove siano più evidenti le disuguaglianze.


Mappa mondiale del coefficiente di Gini che misura la diseguaglianza nella distribuzione del reddito. I paesi a coefficiente di Gini più basso (G < 0,3, verde scuro, verde, verde chiaro) sono i paesi dove il reddito è distribuito più equamente. Al contrario, quelli a coefficiente di Gini più elevato (G > 0,5, rosa, magenta, rosso) sono quelli dove la diseguaglianza nella distribuzione del reddito è maggiore.

Per ogni paese del mondo si può calcolare l'Indice di Gini che va da zero a uno: uno si ha quando sussiste la massima disuguaglianza, cioè un solo cittadino possiede tutta la ricchezza, mentre l'indice vale zero quando tutti i cittadini hanno lo stesso livello di ricchezza, che è una frazione, uguale per tutti, della ricchezza totale.

C'è sicuramente da stupirsi che accada tutto questo, nella nostra epoca così tecnologica.  Oppure no ?

Tornando ai concetti di termodinamica che discutevamo prima e applicandoli all'intero nostro pianeta, che contiene evidentemente tutti gli Stati, in primo luogo lo stupore nasce dalla constatazione che la Terra, nel suo complesso, NON si può certo considerare un Sistema isolato e che sia quindi ad Entropia (o disordine) crescente, come invece sembra che sia. Questo perché la Terra, come noto, riceve energia dal Sole, costantemente, da quando esiste (5 miliardi di anni). Ed è questa energia solare, come scrivono molto bene Vincenzo Balzani e Nicola Armaroli (nel seguito citati come: BA) nel loro bel libro ("Energia per l'astronave Terra", Zanichelli editore), che "inonda l'astronave terra", attivando i processi di fotosintesi delle piante, alimentando il ciclo dell'acqua, mantenendo la grande circolazione dell'atmosfera e quindi dando forza ai venti e agli Oceani. In  sostanza, il Sole dà la vita agli uomini rinnovando anche lo stoccaggio dei combustibili fossili che sono di gran lunga la risorsa più usata dall'uomo per produrre energia. Più dell'ottanta per cento della produzione di energia del mondo proviene dai combustibili fossili, e non già per diretta conversione dell'energia del sole, del vento, dell'acqua. Quella che si chiama, energia rinnovabile. E qui sta il problema, o gran parte di esso. Riprenderemo questo punto fondamentale tra un attimo.

L'energia prodotta dai combustibili fossili è oggi, per i paesi più sviluppati (i più "ordinati", per collegarsi al ragionamento che facevamo prima) assolutamente essenziale, visto che riesce a soddisfare l'enorme "densità di potenza" che essi richiedono (es.: dai 20-100 Watt/m2 di una abitazione a 300-900 Watt/m2 di una acciaieria, come riportano BA). Al momento, con le attuali tecnologie, solo tale forma di energia può soddisfare le grandi utenze terribilmente energivore.

Detto tutto questo, c'è da chiedersi perchè, con un Sole così benigno nel fornire al sistema Terra una costante, gratuita e inesauribile quantità di energia, lo stesso esistano così grandi disuguaglianze tra paese e paese. In pratica solo una piccola minoranza di paesi industrializzati sembra godere dell'input energetico solare, arricchendosi e "ordinandosi" grazie al consumo di enormi quantità di combustibili fossili. Al contrario per tanti altri paesi (spesso, come nel caso dell'Africa, un intero continente) l'energia non sembra impattare e produrre ricchezza e benessere. 


La risposta principale a questo interrogativo è che, purtroppo, i tempi di formazione dei combustibili fossili che costituiscono come detto la fonte primaria di energia, sono estremamente lenti e assolutamente non comparabili con i "rapidi" bisogni di energia del mondo tecnologico moderno. Tale energia è quindi teoricamente rinnovabile, ma è come se non lo fosse. Il Sole l'ha prodotta nei millenni e millenni di storia della Terra, stoccandola nei giacimenti di petrolio e di carbone sotterranei, ma l'uomo opulento (e ordinato !) dei paesi più ricchi la sta usando e consumando in tempi brevissimi, senza alcun controllo e senza, pare, alcuna riflessione sulle possibili conseguenze di questo abuso di utilizzo.

Questo sbilanciamento tra paesi ricchi e paesi poveri rende, di fatto, il sistema Terra, o per meglio dire: "Umanità sulla Terra", equivalente ad un sistema energicamente isolato e che tende nel suo complesso, quindi, al disordine. O se si preferisce...all'autodistruzione. Come ci dice il secondo principio, inesorabile, della termodinamica. Sono solo i paesi più tecnologicamente evoluti quelli che possono sfruttare tale energia, e quindi aumentare il loro "ordine" e quindi far crescere il benessere materiale dei loro cittadini. Questo avviene a scapito dei paesi poveri, che non si arricchiscono certo come "popoli", ma al contrario si impoveriscono, sempre come "popoli", ben inteso. Non certo come classi dominanti che anche in quei paesi poveri la fanno da padrone.  Anzi, per molti paesi poveri la disponibilità delle risorse petrolifere non è affatto causa di benessere, ma al contrario la causa dei problemi. Questo lo scrive, ad esempio, anche quel noto giornale marxista-leninista che prende il nome di "Sole 24ore"...(leggere qui). Stupiti ?

E la povertà fomenta le guerre, come scriveva il Pontefice Benedetto XVI, (leggi qui) che, guarda caso, vedono come teatro i paesi poveri, almeno da qualche decennio. La povertà e le guerre favoriscono, paradossalmente (?) i paesi ricchi, perché aprono e alimentano business molto redditizi, come ad esempio quelli del mercato delle armi, che guarda caso sono prodotte sempre nei paesi occidentali e che vanno poi a finire nei paesi africani e asiatici.

Continuando questo trend malefico di crescita delle disuguaglianze, i paesi sottosviluppati vedranno ulteriormente accresciuta la loro Entropia (cioè il loro disordine), a beneficio dei paesi sviluppati, o di quelli ad economia in fortissima espansione (es: Cina), che diverranno così ancora più sviluppati e quindi ordinati.
Tutto questo accadrà fino a quando l'energia verrà prelevata, fintanto che ce ne sarà da prelevare, dalla "pancia" della terra, dallo sfruttamento dei combustibili fossili, piuttosto che dalla diretta trasformazione dell'energia solare, come avviene ad esempio, e da sempre, nei processi fotosintetici delle piante.

In questa folle corsa (verso l'autodistruzione) del Pianeta, non resta che sperare che ci possa essere un ripensamento globale. Purtroppo non se ne vedono per il momento le premesse. Evidentemente troppi ancora hanno la presunzione di credere che i giacimenti petroliferi non si esauriranno mai, o che comunque questo non è un problema che ci si debba porre. O che si debbano porre gli attuali, pochissimi e ricchissimi, comandanti "dell'astronave terra", per usare la terminologia di BA, che di fatto pare se ne freghino di tutti gli altri (solo qualche miliardo di cittadini, mica tre o quattro...).

Ci sono parecchie maniere per cercare di frenare questa folle corsa che a noi sembra...suicida. 

Sicuramente è imperativo dare impulso all'utilizzo massiccio delle energie rinnovabili, che è divenuto un obiettivo vitale. Per fare in modo di sfruttare effettivamente e direttamente l'energia esterna proveniente dal sole e diminuire quindi il tasso di consumo di petrolio e in generale, delle fonti fossili che, di fatto, sono risorse non rinnovabili, come detto. Quando finiranno, la Terra ci metterà qualche bel milione di anni per ripristinarle, non i duecento-trecento anni che ci abbiamo messo per consumarle tutte. Purtroppo lo sforzo tecnologico da compiere per rendere le forme di energia rinnovabili (es.: fotovoltaico, eolico, idroelettrico) utili come adesso è il petrolio, vista l'enorme richiesta di "potenza" energetica, non è piccolo. C'è chi poi sostiene che i tempi che ci vorranno per aumentare l'efficienza delle rinnovabili, nel senso della elevata densità di potenza, possano essere troppo lunghi per evitare che una drastica riduzione dell'energia fossile faccia collassare tutte le economie della Terra. C'è chi questo l'ha già previsto da tempo (si ricorderà il Saggio sui "Limiti dello Sviluppo", prodotto dall'MIT, degli anni '70) . Noi vorremmo essere più ottimisti, anche se l'ottimismo si blocca tutte le volte che si vedono le macroscopiche disuguaglianze del mondo.

Ma non basta. E' necessario anche un ripensamento degli stili di vita dell'occidente iper-tecnologico e iper-ordinato. Subito. E questo ripensamento deve essere per primo fatto dai paesi ricchi e sviluppati. Poi da quelli con economia in via di forte crescita. Non certo dai paesi sottosviluppati che vivono con percentuali di energia risibili rispetto a quelle usate dai cittadini dei paesi ricchi. 
Le classi sociali più opulente dovranno iniziare ad abbassare un po', e necessariamente, i loro stili di vita. Che non significa che debbano divenire povere, significa solo che non dovranno pensare solo a diventare ancora più...stra-ricche. E' necessario, per lo stesso buon fine dell'umanità, operare un qualche livellamento tra le varie classi sociali.
Qualche decennio fa questa roba si chiamava....socialismo ! Oggi la parola è messa al bando, chi la utilizza deve farlo a voce bassa, altrimenti viene tacciato per vetero comunista che non ha compreso, ancora, come va il mondo. Appunto: come va il mondo ? La gente è felice ? Quanta ? Poca, sembra (leggi qui).

Vivere nel disordine significa vivere male. E vivere male significa vivere nell'infelicità. Quindi siccome molte più persone vivranno male, molte più persone saranno infelici, nel futuro. E questa è una facile previsione, se non si opererà qualche modifica. E i sempre più poveri continueranno a crescere di numero e per di più, e questo è l'INCREDIBILE PARADOSSO, con la consapevolezza di non poter godere della fortuna di vivere decorosamente in un Pianeta che è e sarà rifornito gratuitamente di energia da una stella magnifica come il nostro Sole.

Domande:

Può..."tenere" un mondo fatto di disuguaglianze sempre più forti ? 
E quale livello di disuguaglianza si dovrà mai superare affinché si inneschino dei processi, che potrebbero anche essere cruenti, di riequilibrio ?
Non è forse tempo che l'uomo "razionale" si impegni per equi-distribuire maggiormente la...felicità ?

Se i Paesi opulenti non capiranno per tempo la necessità di un tale ripensamento e se non inizieranno ad operare una più equa ridistribuzione delle risorse, con conseguente più equa distribuzione dell'ordine (o del disordine...) e quindi della...felicità, è bene però che non si facciano illusioni. Non ce ne sarà neanche per loro, di futuro, in un mondo in default

Perché la Natura livella gli estremi, come noto. Il secondo principio della termodinamica ce lo dice. E spesso il livellamento accade in modo catastrofico, anche. Cioé: può essere solo una questione di tempo. Può andar bene ancora a qualche generazione, ma poi finisce la "fiesta", per l'appunto..."americana". 

O forse qualcuno pensa di poter cambiare i principi della termodinamica ?   

Carlo e Sandro