sabato 23 novembre 2013

Nonna Annarella racconta


Cari nipoti,

visto che me lo avete chiesto con tanta insistenza ed entusiamo, vi racconterò un po' della mia lunga vita.

Sono nata nel 1931 in una frazione di un bel paese delle Marche.

Ero l'ultima di quattro figli con due sorelle e un fratello.

Ero la più piccola della famiglia e, per questo, molto amata da tutti.

Ora i miei cari non ci sono più.

Avevamo un negozio che vendeva un po' di tutto (mercerie, bar, tabaccheria, benzina, ecc..) un po' come un moderno supermercato ma molto più piccolo e semplice.

C'era tanto lavoro per tutti, anche per me che ero la più piccola.

Però io ero sempre felice e giocavo anche molto. Con che cosa ?

Con tutto ! Sassi, legni, terra. 
E proprio con la terra mi divertivo un mondo.

Con gli amici, e ne avevo tanti, pensate, facevamo di tutto.

Quando si avvicinava il Natale, per esempio, costruivamo tutti assieme, con la creta, tutti i personaggi del presepe. Ora vi dirò come facevamo.

Di fronte alla mia casa, c'era (e c'è ancora), un bel santuario mariano con un viale alberato pieno di fiori. In fondo a questo viale c'era una grande pietra che era il nostro tavolo di lavoro.

Si impastava con l'acqua la terra che diventava levigata come il pongo di oggi. Tutti seduti in terra ci dividevamo il lavoro: chi faceva i pastori, chi le portatrice di acqua, chi le capanne, chi le case....

Avevamo costruito quasi tutto e il Natale era alle porte. Ci mancava solo il "bambinello" ma nessuno lo voleva costruire perchè aveva paura di non farlo bene.

Allora, mia madre, è intervenuta per farci felici e è andata a comprarlo in paese.

Fatto eccezionale ! Perchè a quel tempo non si spendeva denaro se non per le cose indispensabili. Ma mamma aveva capito tutto.

Avevo solo cinque anni ed ero la "maestra" del gruppo.

Si, proprio la "maestra". Perchè da piccola io sapevo - e lo sapevano tutti gli amici - che da grande sarei diventata una vera maestra. E così è stato.

In quegli anni andavo all'asilo delle suore e dovevo percorrere, assieme alle mie sorelle maggiori che andavano alle elementari, quasi due kilometri di strada a piedi. Tutti i giorni. Anche con il freddo pungente e con la neve.

Io però ero felice di stare in compagnia con gli amici più grandi e trotterellavo portando il mio cestino spesso pieno di dolcetti per gli amici. Li prendevo in negozio e la mamma mi diceva: "ne mangi già tanti tu, ne porti anche agli amici ? andiamo bene !!".

Però mi lasciava fare.

La scuola elementare, fino alla terza classe, l'ho frequentata in una "pluriclasse" di campagna.

Andavo a scuola con un gruppo di amiche e...si cantava, si correva, si bisticciava (anche spesso) perchè i bambini sono sempre uguali, in ogni luogo e in ogni tempo: vogliono sempre giocare !

Ricordo bene la gita che abbiamo fatto tutti assieme con la maestra della scuola di campagna, fino al paese, per ascoltare il discorso di Mussolini alla radio !

Arrivati in piazza, tutti in divisa di "piccoli italiani", abbiamo sentito una forte voce che diceva: "Italiani, il giorno tanto atteso è arrivato !..."

Tutti con gli occhi fissi al balcone da dove proveniva la voce, credevamo di vedere uscire Benito Mussolini da una "scatola" piuttosto grande, che invece era la Radio Balilla !

Non avevamo mai visto nè sentito una cosa così strana !!

Cari nipoti, la vita allora era molto diversa da quella di oggi.

Pensate, in tantissime case, non c'era ancora la luce elettrica.

Le scuole medie le ho frequentate nella città più vicina perchè nel paese gli studi si completavano in quinta elementare. E non tutti arrivavano a prendere il tanto desiderato diploma di quinta !

Io sono stata fortunata perchè il mio maestro ha convinto i miei genitori a mandarmi fuori di casa per studiare e mi misero in "pensione" presso una famiglia di anziani signori.

Piangevo sempre per la nostalgia della mia casa, sempre piena di persone !

E riconoscevo i passi del cavallo di mio padre quando io ero a scuola, a lezione, e lui passava nella strada sottostante per le sue attività commerciali.

Allora c'era la guerra !

E spesso c'erano i bombardamenti. Tanto che gli esami di terza media li abbiamo dati in piazza sotto una tenda.

La guerra... che brutta cosa !

Ho visto con i miei occhi tanti soldati tedeschi in ritirata, stanchi, affamati, in sella a delle biciclette mezze rotte o a cavallo, che percorrevano lunghe file inseguite dai "liberatori" che arrivavano sopra grandi carri armati o camion pieni di tanti prodotti alimentari (cioccolate, cibi in scatola, tacchini enormi, sacchi di the, tutte cose a noi sconosciute !). Che confusione !

Quanta paura e quanti morti si vedevano ogni giorno lungo le strade.

Auguro a tutti voi di non vedere mai una calamità così impressionante.

Annarella.

sabato 16 novembre 2013

Buffer Overflow


In informatica il buffer overflow è una vulnerabilità di sicurezza che può affliggere un programma software. Consiste nel fatto che tale programma non controlla in anticipo la lunghezza dei dati in arrivo, ma si limita a scrivere il loro valore in un buffer di lunghezza prestabilita, confidando che l'utente (o il mittente) non immetta più dati di quanti esso ne possa contenere.
 
( da Wikipedia )



Ogni tanto mi viene in mente Beatrice (Bea), una ragazzina schizofrenica, cieca, che aveva trascorso parte della sua infanzia-giovinezza in un manicomio (ce li ricordiamo ancora ?).



Bea, ogni volta che era eccessivamente stimolata, si innervosiva, iniziava ad avere paura e ansia ed entrava in un circolo vizioso.



Cominciava a dire che era rotta, brutta, in maniera sempre più agitata e si metteva le dita negli occhi. Bisognava bloccarla con la forza fisica, per evitare che si facesse del male da sola, inibendo quello che i comportamentisti definiscono un comportamento-problema.



Ma qual è veramente il comportamento-problema ?


Forse per Bea faceva meno male ficcarsi il dito in un occhio che essere ancora sollecitata con altri stimoli.



Ma come?



Oggi sembra un’eresia pensare che possiamo essere troppo stimolati.



Viviamo in un contesto super sollecitante.

Si è creato quasi il binomio stimolo=benessere.



Non so perché ma io spesso mi sento come Bea: mi sembra che le sollecitazioni alle quali siamo ogni giorno sottoposti siano troppe.



Non fai in tempo a scaricare la posta elettronica e a leggere le comunicazioni vere tra la valanga di pubblicità che ti sommerge, che al nuovo invia-e-ricevi ecco di nuovo qualcuno che ha qualcosa da dirti.



Per andare al lavoro, ci troviamo spesso imbottigliati nel traffico, in tangenziale e in autostrada: rumori e smog permeano i nostri sensi. Ci sentiamo tramortiti da un contesto superurbanizzato.



Ognuno di noi ha spesso due cellulari o il cellulare con la doppia sim… doppio canale di entrata per gestire i flussi di telefonate che ci devono arrivare dall’esterno, da casa e dal lavoro.



E’ necessario iscriversi a corsi di inglese, informatica, cucina, arti marziali, per tenersi in forma, conoscere, spaziare con la mente.


Così come dobbiamo andare alle riunioni scolastiche dei nostri figli, portarli a fare sport, a musica, inglese, scacchi, hip-hop, teatro....



Arrivano messaggi su twitter, whatsapp… bisogna aggiornare il proprio profilo su facebook e pubblicare le foto su instagram….



In mezzo a tutto questo c’è la corsa nei super-iper-mercati per approvvigionarsi di viveri, vestiario, oggetti di varia natura con relativa fila ai banchi, alle casse, al parcheggio…



Recentemente ad una riunione di rappresentanti della scuola di mio figlio, una mamma condivideva il seguente problema. L’equazione era un po’ questa:



dato che la scuola chiede un contributo a tutti i genitori per le attività integrative,  ma non tutti i genitori versano il contributo e qualcuno non dà neanche quello obbligatorio, noi come classe interamente pagante, abbiamo diritto di fare comunque le attività integrative che ci interessano.

Se proprio i soldi non bastano, siamo disposti a pagare di più pur di fare le attività.



Mi è sembrato il segno evidente che il sistema famiglia-scuola non fosse più in grado di gestire il suo BUFFER ed esprimesse l’ennesima richiesta di ulteriori stimolazioni.

Per certi aspetti è una richiesta completamente corretta nella logica che citavo prima e - tutto sommato - anche generosa: non importa che con i miei soldi ho compensato la mancanza di chi non paga e forse anche l’assenza di controlli da parte della scuola, ma adesso per favore fateci pagare ancora e dateci questi benedetti stimoli !!!



Quella mamma forse non voleva dire questo!! 

Eppure il discorso mi stonava , come se volessimo a tutti i costi costruire un individuo iperstimolato, ma all’interno di un contesto privato del senso di cosa significa essere un gruppo sociale, alla ricerca del benessere del gruppo con i suoi diritti e doveri.


Dov’è finita la dimensione dell’intimità che consente di costruire se stessi e quella della forza/coesione sociale che deriva dall’avere un’idea di bene comune da costruire assieme ?


Forse dobbiamo iniziare a svuotare il BUFFER INDIVIDUALE e iniziare a riempire di nuovo pensiero il BUFFER SOCIALE ?

Silvia.